Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Attualità

TRAMONTO

GIANFRANCO FABI - 23/12/2016

?????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????Buon anno. È ormai un rituale. Ma diciamoci buon anno sinceramente. Perché ne abbiamo bisogno. Guardando allo scenario mondiale, il nuovo anno sarà quanto mai ricco di incognite e di incertezze. Si inizierà quasi subito, il 20 gennaio con l’insediamento del nuovo presidente americano Donald Trump alla Casa Bianca e si proseguirà poi con le elezioni presidenziali francesi, con l’avvio dei negoziati per l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea, con le (probabili) elezioni anticipate per il Parlamento italiano, per finire con le elezioni in Germania dove Angela Merkel lotterà per il suo quarto mandato.

Tutto questo nelle grandi democrazie di quello che potremmo chiamare il “vecchio mondo”, una dimensione che tuttavia non è più al centro degli equilibri globali dove sta crescendo la forza, anche militare, della Cina; dove la Russia sembra poter riprendere il posto di grande potenza che ha avuto l’Unione sovietica; dove una vasta area di paesi emergenti dell’Asia stanno acquisendo una rilevante importanza economica e politica.

Siamo di fronte ad un progressivo processo di diminuzione della capacità di guida delle democrazie avanzate rispetto ai paesi che si sono prepotentemente affacciati alla realtà della globalizzazione. La realtà economica ci mette di fronte all’evidenza dei fatti. Di “occidentale” sono rimasti i marchi. Viviamo nel mercato delle apparenze. Basta controllare le piccole etichette di quello che acquistiamo per accorgerci che camminiamo con scarpe prodotte in Vietnam, telefoniamo con cellulari costruiti in Cina, guidiamo automobili assemblate in Turchia, indossiamo camicie cucite in Bangladesh, indossiamo biancheria intima prodotta in Albania: tutte con marchi rigorosamente occidentali.

Se ci guardiamo intorno le vecchie e grandi fabbriche hanno lasciato il posto a centri commerciali e di intrattenimento. A Milano al posto degli stabilimenti Pirelli alla Bicocca c’è un grande villaggio con cinema e grandi magazzini, dove c’era l’Alfa Romeo di Arese è sorto uno dei più grandi centri commerciali d’Europa, e anche a Varese là dove c’era lo stabilimento Malerba sorgerà presto un supermercato, a Valle Olona al posto di una conceria c’è una scuola, e a due passi dal centro aspetta un futuro il grande stabilimento da cui uscivano gli aerei dell’Aermacchi.

Per fortuna l’industria continua ad essere l’elemento portante dell’economia varesina, un manifatturiero che si concentra nelle piccole dimensioni e nella grande capacità di innovazione, nella ricerca a 360 gradi, nel raccogliere la sfida dei nuovi mercati.

Ma lo scenario in cui le imprese sono costrette a muoversi continua ad essere disarmante. Il sistema fiscale e le logiche burocratiche sono un costante freno alla crescita con una costante incapacità della politica di attuare quelle riforme “dal basso”, quelle semplificazioni che sarebbero necessarie per difendere la competitività del sistema economico.

L’Italia ha poi la specialità di complicarsi la vita da sola. Veniamo da sei mesi di discussioni sul referendum istituzionale, che si è trasformato in un’occasione per coalizzare tutti i motivi di protesta e di malcontento, ed ora si prospetta un altro referendum, questa volta sulla riforma del lavoro, destinato anch’esso a bloccare l’attività politica e ogni possibile discussione costruttiva.

Il tutto sullo sfondo di un’Europa in profonda difficoltà e di fronte all’esigenza di rifondare su nuove basi un cammino comune che ha comunque garantito settant’anni di pace e di crescita economica in un continente che era stato per due volte nel secolo scorso devastato dalla guerra e dalle dittature.

L’Europa rischia di essere sempre di più una realtà senza volto e senza identità. Occupata a districare i propri nodi all’interno e incapace di avere una voce in capitolo sullo scenario esterno. L’Europa sarà peraltro sempre più un continente vecchio, dove il calo demografico sarà sempre più accentuato portando con sé anche una strutturale incapacità di rinnovare politiche ed istituzioni.

Buon anno quindi. Magari cercando di rimettere al primo posto valori come la civiltà, la solidarietà, l’umanità. Valori che non hanno un peso economico, ma che possono aiutare a dare un significato alla vita delle persone.

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login