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Apologie Paradossali

MISSIONE INVECE CHE RESA

COSTANTE PORTATADINO - 24/02/2017

migranti(S) Avevamo stabilito di dedicare questa apologia alla smarrita identità storica dell’Europa, invece cambi idea e vuoi che parliamo della mostra “Migranti”, cioè dell’accoglienza. La solita furbata per parlare di un’iniziativa dei tuoi amici.

(C) Ma va! C’eri anche tu alla presentazione della mostra e sei stato colpito dalle testimonianze e dai numeri in gioco. È apparsa evidente una sproporzione tra la paura, generata da una percezione falsata della realtà e l’impatto reale del fatto migratorio, ricco di opportunità a fronte di difficoltà assai minori.

(O) Io credo che non si debba accettare questa contrapposizione forzata tra paura e accoglienza. Non per cercare mediazioni altrettanto astratte o soluzioni furbesche. Dire soltanto, per esempio, ‘è meglio aiutarli a casa loro’ significa non conoscere le dimensioni del problema. Lasciatemi fare qualche numero: gli emigrati attuali, che vivono da stranieri in un Paese diverso da quello in cui sono nati sono 244milioni, una cifra enorme, ma sul totale della popolazione mondiale è appena il 3,3%. Una cifra minima, invece, se pensiamo che chi vive situazioni di profondo disagio sociale ed economico o di vera persecuzione per motivi politici, religiosi o sociali potrebbe essere, sparo un numero, un quarto della popolazione mondiale: non molto meno di 2miliardi di potenziali emigranti. Gli stessi rifugiati per cause belliche, almeno 60milioni, se ne stanno ancora nei paesi di prima accoglienza, in Africa e nel Medio Oriente, solo una piccola parte è riuscita finora a raggiungere l’Europa, una parte ancora minore ad integrarsi o a raggiungere come meta definitiva l’America del Nord.

(S) Io voglio stare all’Italia e, quanto a noi, avrete ben visto che la metà circa degli stranieri attualmente in Italia sono romeni o albanesi, che con le guerre c’entrano ben poco, cui fanno seguito ucraini e moldavi, filippini, cinesi e sudamericani,pure tra gli africani prevalgono i marocchini, mentre i veri rifugiati, quelli che provengono da zone di guerra stanno confusi nella voce ‘altri’.

(C) Vero. Ma sai bene che siriani, iracheni e afgani seguono la rotta balcanica e puntano al Nord Europa, non certo all’Italia. Da noi c’è il problema di gestire i salvataggi in mare, più appariscente e difficile di quello di gestire i passaggi terrestri. Quello che proprio non ci fa onore è l’inefficienza nell’applicazione delle norme dell’UE, circa l’identificazione, il riconoscimento della qualifica di rifugiato e l’eventuale rimpatrio dei non aventi diritto.

(O) Ma come si fa a dire ‘non avente diritto’? Come si può negare un aiuto a chi ha rischiato tanto per cercare una vita diversa? E come trattenere per tanto tempo queste persone in uno stato di quasi detenzione, senza offrire almeno una possibilità di promozione culturale e lavorativa, un minimo di preparazione ad una vita integrata nel ‘nostro’ mondo? Come possiamo pretendere l’integrazione se non ne offriamo i mezzi?

(S) Ecco il punto: non facciamo tutto questo perché stiamo lentamente rinunciando a ciò che costituisce la nostra realtà di Europei, l’aver messo l’Uomo, la persona umana al centro della civiltà, pur con tante contraddizioni, con tanti tradimenti, con le nostre guerre fratricide, ma senza mai cedere del tutto agli idoli del denaro, del potere della razza. Da ogni errore ci siano sempre riscattati. E non dimentichiamo quanta capacità di perdono c’è voluta per fondare, dopo le due grandi guerre, le prime istituzioni comuni europee. Paradossalmente, quanto più si è allontanata quella necessità di perdonare le gravissime offese delle due guerre mondiali, più misere ed utilitaristiche sono diventate le ragioni di convivenza tra noi europei. Siamo arrivati a non sapere accogliere i reietti del mondo, perché abbiamo disimparato ad accoglierci tra noi europei.

(C) A questa incapacità hanno dato un nome roboante: ‘sovranismo’. Spero che chi lo ha inventato lo abbia pensato come una canzonatura. Ma temo diventi invece una bandiera. Sarebbe non solo una reazione tardiva e velleitaria a quella globalizzazione che è nei fatti, resa irreversibile dalla capacita di mobilità e di comunicazione, ma soprattutto diventerebbe una mistificazione, una frode culturale perché lascerebbe intatto il vero potere transnazionale, quello della finanza non più controllata dalle istituzioni democratiche e non moderata da una cultura della solidarietà come nei secoli ‘cristiani’. L’errore più grave, potenzialmente tragico nelle conseguenze, sarebbe di cedere ai ‘sovranisti’ la bandiera della difesa dell’identità culturale, religiosa e politica dell’ Europa, pur nelle sue varie articolazioni tradizionali. L’Identità, quando la si attribuisce ad una realtà umana, non indica un dato immobile, uno stampo che debba produrre prodotti sempre uguali nel tempo e nello spazio, ma una sorgente di vita, di comprensione e di amore. Altrimenti diventa un feticcio, un simbolo da adorare nella sua incolmabile distanza dalla realtà. Rabbrividisco sinceramente quanto, anche in ambito cattolico (ma non dal Papa) sento contrapporre identità a universalità, vedo temere che la si contrapponga ad accoglienza. Se ciò che origina il fenomeno migratorio è un immenso bisogno, sia economico, sia di libertà e di rispetto della dignità umana, per rispondere ad un compito così grande da apparire immenso, non occorre meno, ma più identità. Più identità cristiana, più identità europea.

(S) Lasciami aggiungere un piccolo esempio ad una riflessione così impegnativa: ascoltando la celebrazione del matrimonio di tua figlia, mi ha colpito la formula: “io accolgo te come mio/a sposo/a…”. IO, una identità, accolgo te; vuol dire che io divento una cosa diversa più ricca di quando ero solo IO. L’accoglienza non distrugge l’identità, l’arricchisce, ma senza identità non ci sarebbe né accoglienza, né arricchimento, ma solo sostituzione di una cosa ad un’altra o, al massimo, commistione, deformazione di quello che c’era prima.

(C) Non è un piccolo esempio, ma una cosa molto seria e, spero per gli sposi, molto vera. Restando nella metafora, il matrimonio tra la civiltà europea, in cui comprendo anche quella parte che vive oltre l’Atlantico, e l’immensa dimensione dei popoli con pochi diritti, pochi mezzi, molte sofferenze e molte speranze è ancora molto lontano. Ci vorrà una preparazione ben più lunga ed efficace di un corso prematrimoniale. Ci vorranno sacrifici, anche economici, ci vorrà la rinuncia a tanti preconcetti, insieme alla ripresa di certezze fondamentali. Sebbene il momento storico sembri più favorevole ai divorzi, ai Trump, ai muri, alle Brexit e alle scissioni ideologiche o opportunistiche (mi astengo dal giudicare quelle tuttora in corso) che ai matrimoni, sono sicuro che i cristiani riconosceranno nell’accoglienza del diverso non una resa ma una missione.

(S) Sebastiano Conformi, (C) Costante, (O) Onirio Desti

NB: Mentre per i nomi geografici ho mantenuto come norma la maiuscola, ho scelto di rendere minuscoli i nomi dei vari popoli, come segno dell’essere solo i membri comuni dell’unica famiglia universale, cosicché la ‘sovranità’ non diventi un idolo.

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