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Attualità

STORIA DI FEDELTÀ

EDOARDO ZIN - 05/05/2017

Il Papa alla festa dell'Azione Cattolica

Il Papa alla festa dell’Azione Cattolica

È  stata una vera festa di compleanno quella che si è svolta domenica scorsa in piazza San Pietro a Roma per i 150 anni dell’Azione Cattolica Italiana: canti, palloncini colorati, bandiere al vento, grida, evviva.

E’ stata una festa che, più che ricordare, si è rivolta al “futuro già presente”: “radicati nel futuro” cantavano i ragazzi, i giovani e gli adulti. E continuavano”: Siamo artigiani della vita, operai di un sogno, abitiamo il mondo, abbiamo un Pane da diffondere, siamo laici di questo tempo”.

Papa Francesco nella sua esortazione all’A.C. ha  sviluppato le idee che aveva esposto nel suo discorso rivolto alcuni giorni prima al forum mondiale dell’A.C.  Ha invitato i soci dell’A.C. “a passare dal campanile ai campanelli” (centocinquanta anni fa, Mario Fani diceva:” “Usciamo dalle sacrestie!”) cioè “inseritevi nel territorio, nel quartiere”, “non guardatevi nello specchio”, cioè non siate autoreferenziali, “non state fermi, seduti in poltrona (ciò ingrassa e fa aumentare il colesterolo!)”, ma andate negli ospedali, nelle carceri, là dove c’è la gente che soffre e “gettate il seme buono nella vita del mondo”, siate “viandanti della fede”. Francesco ha invitato i soci a inserirsi nella storia,  oltre che nello spazio:” Impegnatevi in Politica”, ma – aggiunge parlando a braccia – “alla politica con la P maiuscola”, (oggi non  è un valore che si autocertifica, ma il frutto dei semi che la chiesa italiana ha poco seminato in questi ultimi trent’anni!), “abbiate una passione educativa”, “siate uomini e donne del confronto culturale e del dialogo anche con i non credenti, ma che con voi condividono i valori della pace, della solidarietà, della fraternità”. Richiama l’impegno a camminare “sinodalmente” con i vescovi, a “essere radicati in parrocchia che non è una struttura caduca, che non deve chiudersi in se stessa, che non è una struttura prolissa, separata dal mondo”.

Ha un pensiero anche per la ricca e bella storia dell’A.C., ma invita a non avere nostalgia per i  tempi passati: “Non camminate con gli occhi all’indietro: fareste uno schianto” perché “la nostalgia è la tomba della speranza”, sollecita a ritornare alle  sorgenti:” in ogni momento della sua storia l’A.C. ha poggiato prima una zampa e poi le altre” perché era la realtà a dettare il tempo: se andiamo a ritroso, infatti, nella storia dell’A.C. possiamo considerare quattro fasi: attualmente è il tempo della missione fondata su una fede solida e sulla formazione interiore. E’ il tempo della proposta. Precedentemente c’era stato il tempo  dell’attivismo sterile e della presenza massiccia nella vita sociale e politica. Era il tempo dell’imposizione. La fase precedente era stata dominata dalla sopportazione: i cattolici, nel nascondimento e nel silenzio, si preparavano alla vita democratica. Centocinquanta anni fa, era il tempo della protesta.

Infatti, per gli ottant’anni, l’anniversario era stato posticipato di un anno (1948) per farlo coincidere con un voto decisivo per le sorti dell’Italia: 300.000 “baschi blu” invasero Roma e accolsero, in una tarda serata di settembre, Pio XII° al canto di: “Bianco Padre che da Roma ci sei meta, luce e guida – in ciascun di noi confida – su noi tutti puoi contar!” e, sotto il cupolone illuminato da migliaia di padelle di cera poste dagli acrobatici sampietrini, il mitico Carlo Carretto, davanti a Alcide de Gasperi e a mezzo governo schierato, aveva chiesto pane, lavoro e scuola per i giovani. Erano i “giorni dell’onnipotenza”, come li definirà Mario Rossi, cruccio dei cardinali e vescovi che vedevano in lui un “pesciolino rosso che nuota nell’acqua santa” perché favorevole all’incontro tra cattolici e socialisti. L’ Azione Cattolica era diretta allora da Luigi Gedda che aveva inaugurato la stagione del collateralismo con i cattolici intruppati nella Democrazia Cristiana: più di due milioni e mezzo erano gli iscritti e il 25% dei parlamentari proveniva dalla FUCI e la percentuale degli esponenti provenienti dalle fila dell’A.C. era superiore al 30%.

Dieci anni più tardi, nel marzo del 1958, per il novantesimo, Pio XII° rivolse ai giovani un discorso profetico. Riferendosi alla vigilia del giorno d’inizio della primavera, disse:” La Chiesa è alla vigilia di una nuova primavera”. Otto mesi dopo, Giovanni XXIII° sarà eletto Papa e darà inizio all’“aggiornamento della Chiesa” con il Concilio Vaticano II.

Il centenario cadde in  pieno 1968. Non ci furono manifestazioni di massa:  Paolo VI, che era stato assistente nazionale della FUCI e conosceva bene tutto il movimento cattolico italiano, aveva iniziato fin dall’inizio del suo pontificato (chi scrive ricorda un incontro tra i dirigenti nazionali e papa Montini il 3 luglio 1963) un processo di rinnovamento dell’A.C., facendo preparare da mons. Franco Costa e da Vittorio Bachelet un nuovo statuto che entrò in vigore nel 1969. Con esso l’A.C. travalicava l’organizzazione di massa e affondava l’impegno su un punto basilare: la “scelta religiosa” che non era una fuga dal mondo, ma una riscoperta dell’impegno del laico che vive la sua vocazione nella famiglia, nella professione, nella chiesa e nello stato democratico. Iniziò così l’attuale fase della vita dell’A.C.

 Nel 1867, e precisamente il 28 giugno, per opera di due giovani di origine nobile, Mario Fani di Viterbo, poco più che ventenne, e Giovanni Acquaderni di Bologna, alla soglia dei trent’anni, nasceva la Società della Gioventù Cattolica, il seme da cui si sarebbero sviluppati gli altri “rami” (come si chiamarono per molto tempo!) dell’attuale Azione Cattolica. Lo scopo della Gioventù Cattolica era quello di “riunire in fraterna associazione la gioventù cattolica italiana”, di “ravvivare nella gioventù e nel popolo il sentimento religioso”, di aiutare, anche economicamente, tramite l’ “obolo di San Pietro” il Papa Pio IX.

Erano tempi mesti per la Chiesa. Dopo due anni, si sarebbe aperto il Concilio Vaticano I°, ma l’angelo che sormonta Castel Sant’Angelo era pronto a snudare la sua spada contro chi avesse tentato di far crollare lo Stato Pontificio. Fatto che accadde il 20 settembre 1870. Terminò così il dominio temporale dei Papi e lo Stato pontificio venne annesso all’Italia. Pio IX si chiuse in Vaticano e nacquero le due anime del cattolicesimo italiano: quella conservatrice, intransigente e quella liberale, democratica. La società della Gioventù Cattolica si strinse attorno ai successori di Pietro per inneggiare: “ Tu l’hai detto, o divino Sovrano – la mia chiesa è fondata su Pietro, – su quel Pietro che in soglio sovrano – re dell’alme ne’ secoli sta”. E’ il periodo della protesta!

A smorzare questi toni fu Paolo Pericoli, il nuovo presidente che resterà alla guida della Società per ben ventidue anni (1920 – 1922) e che incisivamente la rifondò, tenendo a distinguersi sia dall’azione dei liberali che da quella dei conservatori, auspicando la pace tra lo Stato e la Chiesa.

Durante la prima guerra mondiale, i giovani cattolici sono sul fronte: aiutano i cappellani militari, insegnano a leggere e a scrivere ai coetanei analfabeti, fondano circoli di ritrovo per militari nelle città d’avamposto. Molti donano la loro vita per la Patria, come il “capitano santo” Guido Negri o come il giovane scrittore Giosuè Borsi.

Nel 1922 muore Benedetto XV, il papa che aveva dato il primo statuto all’A.C. e viene eletto al soglio di Pietro Pio XI (“voi della Gioventù Cattolica siete la pupilla dei miei occhi!”), ma è un anno fatale per l’intera nazione. Il fascismo pretende di avere il primato sull’educazione della gioventù: bande di fascisti assaltano le sedi dell’A.C., bruciano libri, riviste e carte, buttano nei fiumi i crocifissi, picchiano preti e laici, i prefetti proibiscono le manifestazioni dei giovani cattolici, finché nel 1931 il regime fascista ordina lo scioglimento immediato di tutte le organizzazioni giovanili non legate al fascismo. Pio XI protesta energicamente e si trova un accordo.

E venne la guerra. Dopo l’8 settembre 1943, molti soldati aderenti all’A.C. si rifiutano di continuare la guerra a fianco dei fascisti e salgono sui monti a preparare i giorni della libertà, molti vengono ricercati, torturati, condannati a morte: si chiamano Salvo d’Acquisto, Giancarlo Puecher, Alfredo e Antonio di Dio, Teresio Olivelli, Ignazio Vian, Emiliano Rinaldini e molti altri.  Al termine della guerra, saranno 87 le medaglie d’oro concesse ai giovani dell’A.C.

Riacquistata la libertà, la storia continuerà nella fedeltà alla chiesa e alla storia, “cercando assieme la maggior pienezza possibile di ogni valore umano cui tutti gli uomini, sia pure inconsapevolmente, aspirano” (Giuseppe Lazzati).

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