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Urbi et Orbi

CLERICUS CUP

PAOLO CREMONESI - 26/05/2017

Gregoriana seminary football player JoseEsiste un calcio senza insulti, scandali, mazzette e droga? Nei campi dell’ oratorio San Pietro, di fianco alla piscina che frequento normalmente, si affrontano le squadre della Clericus Cup, torneo promosso dal Centro sportivo italiano e rivolto a sacerdoti e seminaristi. Sedici le formazioni, che divise in due gironi da otto, giocano in 7 giornate di campionato con tempi da 30 minuti ciascuno.

Alla finale, ormai prossima, si arriva con la formula della Champions League: quarti e semifinali ad eliminazione diretta, con gare di andata e ritorno. Vietata la X: per ciascun match che al termine dei minuti regolamentari finisce in parità, si va ai calci di rigore. Un vero e proprio Mondiale.

I religiosi e seminaristi tesserati arrivano, infatti, da 37 Paesi dei cinque continenti. Le squadre, provenienti dalle università e dalle case madre degli ordini, hanno nomi suggestivi e austeri: Redemptoris Mater, Pio Latinomaericano, Mater Ecclesiae, Gregoriana, North American Martyrs, Sedes Sapientiae.

Ci sono ovviamente molti giocatori italiani ma numerose sono le pattuglie dei messicani e dei croati. Significativa la presenza nelle varie squadre di bosniaci, rumeni, sudamericani (brasiliani, salvadoregni, ecuadoriani), africani (camerunensi e congolesi) e asiatici.

Quest’anno la sorpresa è arrivata dagli ucraini che, maggioritari nelle fila del Pontificio Collegio San Josafat, hanno voluto offrire le loro vittorie per la pace nel paese.

Nata nel 2007, all’allora inaugurazione presenziarono il cardinal Bertone e Marcello Lippi, la Clericus Cup negli anni si è guadagnata, almeno nella capitale, un posto di tutto rispetto. “Ho chiesto al Csi di rinunciare alla suore pon-pon e alle scommesse” chiosò in quella occasione don Claudio Paganini, consulente ecclesiastico e sacerdote bresciano,”ma non garantisco che, confondendo liturgie diverse, qualcuno si presenti sugli spalti con l’incenso pensando di usare fumogeni”.

In effetti è per lo meno curioso vedere all’inizio della partita le due squadre che prima del calcio di inizio, anziché ricevere le ultime istruzioni dal ‘mister’, si raccolgono ciascuna nella propria metà campo per un momento di preghiera. Dietro le porte, oltre al medico, c’è pure un confessore: non si sa mai, dovesse scappare una parolaccia.

Così qualche giorno fa, mentre assistevo a una combattuta partita, tra il fragoroso tifo di studenti latinoamericani da un lato e quello di seminaristi africani dall’altro, mi è sorta la domanda: Dio chi ascolterà tra le squadre che pregano per vincere? La più onesta? La più morale? La più pia? Quella che si è preparata meglio?

Non sembra un interrogativo da poco, soprattutto in un ambito dove il Soprannaturale è di casa e ciascuno dovrebbe sentirsi in ‘diritto’ di essere esaudito.

Alla fine mi sono risposto: nessuno. Non perché a Dio non interessi il calcio (‘persino i capelli del nostro capo sono contati’) ma perché attraverso i fatti della vita il Signore ci educa al vero significato della realtà. Che in questo caso significa: se hai vinto, complimenti, se hai perso, pazienza. Ma la felicità sta da un ‘altra parte e non dipende dal successo terreno.

Di questo allenatori e giocatori della Clericus Cup sono coscienti molto più di chi vi sta scrivendo. E proprio per questo, forse, in campo non si menano.

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