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Attualità

IL SET DI UN DELITTO

ROBERTO ROTONDO - 30/06/2017

La mamma di Lidia al processo

La mamma di Lidia al processo

Non è semplice parlare, dopo tanti anni, dell’omicidio della povera Lidia Macchi: una ragazza comune, solare, piena di vita, che a soli 21 anni è stata uccisa, nel 1987, probabilmente da un uomo che l’amava, ma non poteva confessarlo. La sua morte, terribile, oscura, senza un colpevole per tanti anni, quelle 39 coltellate, il corpo trovato in una stradina, sono già un macabro scenario che rimane nella testa di una generazione di varesini da allora. Come se non bastasse, ai tanti perché di quella vicenda, una recente inchiesta ha aggiunto un presunto colpevole, una serie di rivelazioni sugli errori e le incongruenza dell’indagine, ma ha anche sollevato un polverone strano,  un’aria viziata da circo mediatico che a Varese non si era mai vista fino a oggi.

Il processo in corte d’assise viene discusso, nelle annoiate sere catodiche, in televisione, in lunghe trasmissioni dedicate alla cronaca nera. Lidia diventa come altre eroine della tv spettacolo, giovane e bella. Lidia che amava qualcuno, che era amica dei preti, che teneva alla verginità. La sua morte, si chiedono gli opinionisti, da chi è stata coperta? Dal tribunale di Varese, dalla chiesa che non voleva scandali, da Comunione e Liberazione nel cui seno si anniderebbe magari da tanti anni l’assassino, o da Stefano Binda, il ragazzo fascinoso, ma perverso, di allora, che dunque sarebbe stato una sorta di amante (o violentatore) di una notte, che non voleva macchiare la sua reputazione di giovane ultracattolico, intellettuale e poeta maledetto? Un ventunenne che uccide per la reputazione religiosa?

Quanti sospetti in questa vicenda, ma anche quanti complottismi, quante illazioni. Sulla vita di Lidia, sul movimento di Cl, sulla chiesa, su Varese, forse anche sull’imputato, se dovesse risultare innocente. E quanti colpevoli sulla scena: l’inchiesta della procura generale di Milano aveva inizialmente indicato come assassino l’ergastolano Giuseppe Piccolomo, un indiziato cambiato poi in corsa, credendo alle accuse di una nuova teste che suggerì la pista Binda. Durante il processo, inoltre, stanno a mano a mano emergendo altri “imputati” simbolici: il tribunale di Varese, i magistrati di Varese, forse anche la stessa città di Varese, così silenziosa e poco aperta allo show mediatico. Una città poco abituata all’arresto di una persona indiziata di reato effettuato con le telecamere accese: “Scusi è la tv, è lei che ha ucciso Lidia?”. Un dubbio: alla fine di questo processo, troveremo il colpevole o avremo solo montato un set televisivo con tanti complottismi da servire a cena? Speriamo la giustizia trionfi.

 

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