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Presente storico

UNA RENAULT 5 AZZURRA

ENZO R. LAFORGIA - 28/07/2017

Carminati in una serie di foto segnaletiche

Carminati in una serie di foto segnaletiche

Quella del 1981 fu una Pasqua insolitamente fredda. Ma nonostante le pessime previsioni meteorologiche, sin dalla giornata di sabato 18 aprile gli italiani si erano riversati sulle autostrade. Più di mezzo milione di automobili aveva lasciato Milano. Del resto, nella capitale lombarda raggiungere la Stazione centrale o l’aeroporto era stato reso più difficile dall’ennesimo sciopero dei mezzi pubblici. Il giorno di Pasquetta, il 20 aprile, pioggia e neve colpirono la penisola da Sud a Nord. A Potenza il termometro scese sotto lo zero e un po’ dappertutto i sindaci autorizzarono l’accensione degli impianti di riscaldamento. I villeggianti avevano rifatto velocemente le valigie e si erano rimessi in macchina, diretti a casa.

Nell’aprile del 1981, la storia d’Italia stava per intraprendere un nuovo corso. (O forse no…) Il 22 aprile avrebbe avuto inizio a Palermo il 42° congresso del Partito socialista italiano. Il 29 aprile, sul «Giornale di Sicilia», Leonardo Sciascia offrì una lucidissima sintesi delle scelte politiche scaturite dai lavori congressuali:

«Non si sa bene […] che cosa significhi, al momento, essere socialisti: e la sparuta sopravvivenza del linguaggio socialista, tanto sparuta che si può parlare di distruzione, ne è stata, nelle giornate del congresso, dimostrazione; ma si sa bene, ormai, che i socialisti si propongono di governare nel miglior modo possibile, con quella flessibilità pragmatica che il corso delle cose richiede.»

Il Partito socialista era una forza politica sempre più determinante nelle scelte di governo. E la parola chiave sarebbe diventata «negoziare». A Palermo, il Congresso riconobbe la leadership di Craxi. Da quel momento in poi, il Partito socialista cessava di essere luogo di confronto (o più spesso terreno di scontro) tra correnti. Fu addirittura modificato lo statuto, affinché il segretario potesse essere eletto direttamente e potesse godere di pieni poteri. Si parlò, soprattutto a sinistra, di deriva cesaristica.

Prima di Pasqua, la Digos romana aveva perquisito un box in via Prenestina, affittato da una coppia di giovani sposi con la scusa di custodire lì la loro collezione di soldatini di piombo. E i soldatini di piombo, in effetti, c’erano. Ma c’erano pure un mitra, pistole, un bazooka, dell’esplosivo e gioielli per il valore di centinaia di milioni di vecchie lire. Tra tutto questo, gli agenti avevano trovato una cartina stradale della Lombardia, su cui era stata evidenziata a penna una località della provincia di Varese: Gaggiolo. Era nato così il sospetto che i latitanti a cui la Polizia di Stato stava dando la caccia avessero intenzione di attraversare in quel punto il confine con la Svizzera. Di questo erano stati tempestivamente informati i commissariati lombardi.

In quell’aprile del 1981, proprio nel giorno del Lunedì dell’Angelo, in prossimità del valico del Gaggiolo, uomini della Digos di Roma e di Varese erano appostati all’interno di un furgone. Erano lì da ore. Anche a Varese il tempo era brutto e pioveva. Verso le 10 di sera gli agenti videro arrivare la macchina che era stata loro segnalata (probabilmente da un ex terrorista nero, divenuto poi collaboratore di giustizia). Era una Renault 5 di colore azzurro. La Polizia intimò l’alt. La macchina non si fermò. A questo punto la Polizia fece parlare mitra e pistole (lo stesso questore di Varese dichiarò il giorno dopo che non si era trattato di un conflitto a fuoco). Due dei passeggeri, uno dei quali ferito ad una gamba, uscirono dall’auto cercando di scappare a piedi. Si fermarono poco dopo. Nella Renault 5 ne era rimasto uno: era stato colpito alla testa ed apparentemente era in fin di vita. Facevano tutti parte di quella cellula terroristica che negli ultimi mesi si era macchiata di omicidi e rapine (su di loro pendevano un’ottantina di mandati di cattura). Molto probabilmente qualcuno era ad attenderli al di là del confine, in Svizzera.

Il proprietario dell’auto, quello ferito ad una gamba, era Alfredo Graniti, di 27 anni, originario di Bergamo. Non aveva precedenti penali. Il secondo uomo era Domenico Magnetta, di 27 anni, di Milano, già inquisito a metà degli anni Settanta. Il terzo passeggero fu ricoverato a Varese: un proiettile gli aveva fatto saltare l’occhio sinistro. Gli trovarono addosso documenti falsi, documenti veri sottratti ad un infermiere romano, pietre preziose e venticinque milioni in lire e dollari. Si chiamava Massimo Carminati e a 23 anni è già un personaggio di rilievo nel mondo dell’eversione neofascista.

Lo scorso 20 luglio, Massimo Carminati è stato condannato a vent’anni di carcere dai giudici della X sezione penale di Roma, a seguito dell’inchiesta sulla cosiddetta «Terra di Mezzo». Non si può più parlare di «Mafia Capitale», perché i giudici non hanno riconosciuto, all’organizzazione criminale, l’aggravante dell’associazione mafiosa.

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