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Il Viaggio

DENTRO CARRARA

GIOIA GENTILE - 16/02/2018

caveVi ho raccontato, spesso, i Paesi che ho visitato, a volte esotici e lontani. Ma c’è un luogo, in Italia, di cui non vi ho ancora parlato e che mi è particolarmente caro: Carrara.

Non è una meta molto ambita dai turisti: località come Sestri Levante o Tellaro a nord e la Versilia a sud ne offuscano l’immagine; inoltre, la presenza di un porto non è certo un’attrazione per chi cerchi un mare incontaminato.

Invece io amo Carrara. Trovo che sia una bella città, ma, soprattutto, mi affascinano le sue cave. Da lontano, le Apuane, con le profonde incisioni che nei secoli sono state loro inferte dagli uomini, sembrano Dolomiti bianche. Quando poi ci si avvicina e ci si affaccia su quei grandiosi teatri di marmo, si può solo restarne conquistati.

L’imponenza e il candore sono le prime cose che colpiscono, ma sono anche altre le sensazioni che quelle pietre mi comunicano. Mi emoziona l’idea che, dentro quei blocchi, ci siano già – come diceva Michelangelo – le forme che poi il genio dell’artista riesce a fare emergere. E mi commuove il pensiero che non avremmo una Pietà, un Ratto di Proserpina, un Amore e Psiche, né alcun’altra delle meraviglie che gli artisti hanno saputo “scoprire” in quei marmi, senza il lavoro umile e faticoso dei cavatori: ore e ore sotto il sole, con il bianco riverbero impietoso che ne moltiplica il calore, a tagliare e trasportare massi enormi con il rischio di esserne travolti, e tutto nel più totale anonimato. Oggi la tecnologia fornisce un valido aiuto, ma un tempo, neppure troppo lontano, l’uomo era solo, con la sua forza, a scavare dentro la montagna.

Di recente, durante una puntata di Voyager, Roberto Giacobbo ha intervistato un cavatore, una persona di esperienza, che aveva conosciuto e provato sulla sua pelle la fatica di quel lavoro prima che si potesse contare sulle macchine. Una persona schiva, che parlava di sé col pudore di chi, pur compiendo grandi imprese, ritiene di aver fatto solo il proprio dovere. Ha raccontato di aver cominciato a lavorare nelle cave all’età di dodici anni e, quando il giornalista gli ha chiesto quante ore al giorno lavorassero in passato, ha risposto: ”Partivamo col buio, prima dell’alba, e tornavamo a casa col buio. Da stella a stella”.

Da stella a stella: un’espressione poetica per una realtà difficile. Come se i cavatori già sapessero che per parlare di quelle pietre, destinate alla bellezza, è opportuno usare il linguaggio della poesia. Quasi un presagio di quel che gli artisti sapranno portare alla luce. Un motivo in più per amare Carrara, i suoi marmi e i suoi cavatori.

 

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