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Opinioni

PULCINELLATE

ROBI RONZA - 21/09/2018

genovaQuanto sta accadendo a Genova dà la spiacevole sensazione che l’Italia sia il paese di Pulcinella, ossia ciò che avrebbe tutti i numeri per non essere affatto. Ferma restando infatti l’entità della tragedia per le vittime e per le loro famiglie, il crollo del ponte Morandi è obiettivamente un problema minuscolo per uno Stato che ha 60 milioni di abitanti ed è una delle prime sette economie avanzate del mondo. E lo stesso si può dire con riguardo a circa 150 famiglie da rialloggiare in una città delle dimensioni e del livello di sviluppo di Genova.

Se si guarda dal lato delle risorse appare evidente che la questione del rialloggio delle 150 famiglie avrebbe potuto essere risolta in due o tre settimane. Grazie all’anagrafe il Comune di Genova sapeva già a priori quante persone e quante famiglie risultavano residenti nelle case che sono ora da demolire. Un ufficio temporaneo installato ai margini della “zona rossa”, magari in un container da cantiere, avrebbe potuto rapidamente procedere al raffronto tra situazione di fatto e situazione di diritto nonché a registrare richieste specifiche tramite interviste. Lo stesso si sarebbe potuto fare con riguardo a negozi e altre imprese situati nel quartiere.

Una perizia e la successiva installazione di sensori su quel che resta del ponte, con sistemi automatici di allarme collegati, avrebbe creato le condizioni sufficienti per consentire agli abitanti di ritornare a loro rischio e pericolo negli alloggi per presenziare al trasloco del relativo arredamento. Contemporaneamente a partire dal Catasto si sarebbe potuto procedere all’analisi dello stato attuale e quindi del valore attuale delle proprietà.

Avvalendosi di un adeguato numero di ditte di trasloco sia genovesi che di città vicine lo spostamento ordinato del contenuto degli alloggi nei depositi, di cui tali ditte sono oggi normalmente dotate, avrebbe richiesto non più di tre o quattro giorni. Sistemate le famiglie in albergo, in una città come Genova il Comune non avrebbe poi faticato a trovare alloggi in cui trasferire gli sfollati per il tempo necessario alla ricostruzione definitiva delle loro case.

In quanto al ponte o viadotto che sia, la questione più urgente è demolire e poi procedere alla costruzione di un ponte o viadotto nuovo. Fermare tutto, come sta avvenendo adesso, per dare spazio alla polemica pro e contro il sistema delle concessioni è una perdita di tempo ingiustificata. È ovvio che Autostrade spa è pronta a fare di tutto per ricostruire il ponte il più in fretta e il meglio possibile. Glielo si lasci fare; se poi l’avrà fatto per sé o per conto del governo lo si deciderà poi.

Viste le cose dal lato delle risorse andiamo adesso a guardarle dal lato della politica e della burocrazia ministeriale. In un contesto come quello italiano — caratterizzato dalla confusione delle competenze e delle responsabilità nonché da una magistratura inquirente da tempo uscita dall’alveo del suo ruolo proprio – di fronte a un’emergenza del genere si assiste regolarmente, e così è anche in questo caso, a una corsa alla presenza sulla scena cui corrisponde la fuga da qualsiasi chiara assunzione di responsabilità.

Un eloquente sintomo di tale stato di cose è la vicenda del cosiddetto Commissario straordinario per l’emergenza, di cui ci si è riempiti la bocca nelle scorse settimane. Il modello è evidentemente quello dei terremoti del 1976 in Friuli, sempre citato ma mai poi imitato, e quindi dell’ottima prova che dette in tale circostanza Giuseppe Zamberletti, il commissario di allora. Nella circostanza Zamberletti usò benissimo degli adeguati poteri straordinari che gli erano stati dati. Nel caso del ponte di Genova un giudizio conclusivo sull’opera del Commissario straordinario, il presidente della Liguria Giovanni Toti, è per definizione prematuro. Basta però andare a vedere di quali poteri è investito per rendersi conto che sono ridicoli. Toti è commissario per nomina non del governo bensì di un suo funzionario, il capo della Protezione civile Angelo Borrelli, e il suo compito consiste nel “predisporre il piano degli interventi da sottoporre all’approvazione del capo del dipartimento Borrelli”. Pur di poter sfoggiare le insegne di commissario un presidente di Regione si è lasciato insomma trasformare nel portatore d’acqua di un alto burocrate.

D’altra parte per la politica di oggi e per i politici di oggi fare annunci alla tv e atteggiarsi a paladini della protesta risulta molto più conveniente e meno pericoloso che prendere il toro per le corna. In una situazione poi come quella del ponte caduto a Genova, con un Comune a guida Pd, un presidente di Regione che è di Forza Italia e un governo Lega/5 Stelle, ognuno dei tre livelli di governo è più che altro impegnato a fare la forca agli altri due; tutto il resto viene dopo. Se poi a tutto ciò si aggiunge una burocrazia centrale che a sua volta molto spesso gioca per conto proprio, o è impegnata in sue guerre interne, diventa chiaro che ci sono tutti gli elementi perché nella vicenda del ponte di Genova l’Italia faccia appunto, come si diceva, la figura del paese di Pulcinella. Una figura che non soltanto non si merita, ma che, nel mondo globalizzato in cui viviamo, non può più permettersi di fare.

www.robironza.wordpress.com

 

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