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Pensare il Futuro

NO AL LAVORO DEI MINORI

MARIO AGOSTINELLI - 02/11/2018

minorileÈ stata pubblicata la “Dichiarazione di Buenos Aires sul lavoro minorile e sull’occupazione giovanile”, frutto di un confronto tra 2000 delegati provenienti da tutto il mondo in una Conferenza organizzata da una sezione dell’Onu o, meglio, dell’organizzazione mondiale del lavoro (Oil).

 Ne risulta che il lavoro minorile è in declino troppo lentamente, nel mezzo di una crescita senza precedenti delle migrazioni e degli sfollamenti forzati che aggravano la situazione.

Non ci sono ancora, come recita il documento finale, “sufficienti sforzi per porre fine al lavoro minorile in tutte le sue forme entro il 2025″ come era nei Millenium Goals, gli obiettivi di sviluppo sostenibile, fissati al primo quarto del nuovo secolo. Secondo essi, infatti, ai fini della promozione del lavoro dignitoso occorrerebbe che il lavoro minorile in tutte le sue forme venisse ad essere sradicato entro il 2025. Ma siamo estremamente lontani da quella meta, nella attuale fase di trionfo del neoliberismo.

L’aumento del lavoro minorile nelle campagne ha a che fare con l’occupazione al nero, dove non sta, anche da noi in Italia, affatto regredendo. Mentre i numeri generali per il lavoro minorile nel mondo sono diminuiti da 162 milioni a 152 milioni dal 2013, nelle zone rurali il numero è cresciuto: da 98 a 108 milioni. Si stima che il 71% del lavoro minorile sia concentrato in agricoltura e il 42% di quel lavoro sia pericoloso e venga effettuato in imprese informali e familiari.

C’è purtroppo – e dobbiamo rendercene tragicamente conto – un ruolo decisivo del lavoro minorile nelle catene di approvvigionamento globali. Sappiamo che i bambini vengono usati perché sono la forza lavoro più economica e massimamente ricattabile e condizionabile. I bambini che lavorano lo fanno principalmente a sostegno delle loro famiglie, in condizioni di lavoro quasi sempre pessime e incontrollate.

Occorre tuttavia rendersi conto che la loro educazione viene ostacolata irrimediabilmente e altrettanto irrimediabilmente ne viene minata la salute. Anche se le cause strutturali possono essere risolte solo localmente, a seconda delle circostanze economiche, culturali e sociali di ciascun luogo, la responsabilità di questo scempio generazionale è riconducibile quasi sempre a grandi imprese e a marchi di grande risonanza mondiale, che si sottraggono alle campagne di denuncia, per lo più ignorate nei Paesi dove i prodotti della catena sono venduti con profitti in aumento anche grazie ad un impiego sofisticatissimo di tecnologie applicate nella fase ultima di packaging e commercializzazione, ma sempre escluse in quelle della produzione delocalizzata.

Non si può infine ignorare che i conflitti armati moderni usano i bambini come se fossero materiali usa e getta. I bambini non sono più alla periferia dei conflitti ma al centro. Nel 2016 ci sono stati ben 750 attacchi contro le scuole nel mezzo di un conflitto armato, mentre nel 2017 se ne sono registrati mediamente addirittura 160 al mese.

I campi profughi sparsi lungo le rotte delle guerre e delle migrazioni registrano una presenza di oltre 45% di minori, naturalmente esclusi dalla scuola e in condizione estrema di indigenza.

Uno scenario tragico come quello descritto non si muta solo dando la colpa alle multinazionali o ai governi. Meglio riflettere su quanto la colpa ricada su un intero sistema, che passa anche dai nostri comportamenti e dalla nostra mancata sensibilizzazione per penetrare anche nelle nostre scelte quotidiane.

Si incunea in essi a tal punto, da non lasciare spesso traccia di ripensamenti e di farci partecipi, taciti e silenziosi, all’evoluzione dall’esterno di una delle tragedie irrisolte del nostro tempo. L’egemonia di un potere si riconosce anche dall’essere reso invisibile agli occhi e alle coscienze della gente comune.

Ed è scandaloso che il problema del lavoro minorile debba essere affrontato senza ascoltare mai i bambini, tenendoli così lontano dalla nostra vista, fuori da inchieste e testimonianze da rendere pubbliche: senza volto e, per questo, senza età.

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