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Politica

LIBERI E FORTI

EDOARDO ZIN - 18/01/2019

sturzo“A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini supremi della patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnino nella loro interezza gli ideali di giustizia e di libertà”: così comincia l’appello lanciato dall’albergo Santa Chiara in Roma da don Luigi Sturzo il 18 gennaio di cento anni fa.

La prima guerra mondiale era terminata da poco più di due mesi lasciandosi dietro di sé 600.000 morti, mezzo milione di mutilati, intere province devastate, macerie ancora fumanti, una situazione economica catastrofica: oltre 23 miliardi di disavanzo, un’inflazione galoppante, il costo della vita quadruplicato, le industrie, ingrassatesi con la guerra, vedevano davanti ad esse lo spettro della recessione, scarseggiavano grano e carbone. Non meno grave era la crisi sociale: i reduci dalle trincee erano frustrati, le classi popolari chiedevano a gran voce una riforma fiscale e un maggiore controllo democratico sulle decisioni della politica.

I socialisti erano divisi tra oltranzisti e moderati. A poco a poco aumentò il clima di sangue e di paura che contribuì a formare un populismo parolaio e inconcludente che a quel tempo sembrava essere il solo capace di rintuzzare le violenze socialiste.

E i cattolici? Dopo la caduta del potere temporale dei Papi, era proibita ai cattolici la partecipazione alla vita politica del nuovo stato italiano. Anche essi erano divisi tra intransigenti, che sognavano di riconquistare il potere temporale, e liberali – democratici che consideravano l’astensione del voto un dovere da osservare finchè il Papa lo imponeva, ma un grosso errore strategico a cui occorreva sollecitare la revoca. Quel giorno arrivò, ufficialmente, nel 1919 e fu Benedetto XV che permise al movimento cattolico di uscire finalmente allo scoperto.

In questo clima, don Luigi Sturzo – un sacerdote siciliano 48enne – lanciò il suo appello con il quale fondò un partito aconfessionale e a cui diede il nome ch’esso aveva dal Trentino, quando era austriaco: “Partito Popolare”. Il nuovo partito, pur diviso da una destra di stretta osservanza cattolica ed una sinistra progressista, ebbe in parlamento nelle elezioni politiche del 1919 un centinaio di eletti.

Fu questo l’esito felice dell’appello indirizzato a “tutti”: non un “partito cattolico” nè un “partito di cattolici”, ma un movimento in cui i valori appresi in sede religiosa venivano applicati nella pratica politica con assoluta coerenza e che non escludeva i non credenti con i quali condividere i medesimi valori umani sublimati dal cristianesimo. Don Sturzo si rivolse a “tutti” senza che nessuno sbandierasse il proprio credo religioso, ma la sola comune radice umana dei problemi e la necessità di condividerli per affrontarli e risolverli.

“Agli uomini liberi”, cioè a coloro che avevano una coscienza sciolta da pregiudizi, che aderivano con partecipazione spontanea e non basata sul clamore o su interessi di parte, che pensavano ed esprimevano liberamente ciò che pensavano, che volevano dare un senso alla propria autonomia.

“Agli uomini forti” nell’interiore dell’animo, nell’arditezza dei pensieri, nella forza dei valori che amavano, non solo muscolosi o caustici nel linguaggio. Forti di tenacia e di carica interiore, capaci di originalità, di creatività, non omologati. Decisi ad affrontare prove anche difficili nella discrezione e non nel clamore esterno ostentato per sollecitare l’applauso.

Solo gli uomini liberi e forti potranno, ieri come oggi, prospettare libertà e giustizia. Le libertà politiche, sociali ed economiche erano un preliminare per ottenere la pace, che a sua volta era fonte di speranza e di serenità. Era un impegno continuo da essere salvaguardato con rigore e anche con sobrietà. Solo dopo pochi anni, gli uomini sceglieranno di seguire l’onda di chi avrebbe promesso ordine e disciplina. Preferendo trovarsi soli con se stessi e con le scelte da compiere, si faranno quietamente condurre per mano dalla guida del potente di turno che porterà il popolo ad una seconda guerra mondiale.

Il sonno della libertà non avrebbe portato a una vera giustizia, che è soprattutto uguaglianza fra tutti gli uomini, e non solo equità, e il veleno dell’odio avrebbe perforato goccia dopo goccia le coscienze personali e collettive.

Don Sturzo sarà costretto all’esilio, dapprima a Londra e poi negli Stati Uniti, e da lì continuerà a combattere con i suoi scritti la potenza assoluta dello stato e a proclamare, sulla scia degli insegnamenti di Jacques Maritain, che la struttura portante della politica dev’essere la persona davanti alla quale “non è mai permesso compiere il male per fare il bene”.

Rientrato nell’Italia libera, don Sturzo fu nominato senatore a vita e dai banchi del Senato e dalle pagine di un giornale alzerà alta la sua voce per dare al parlamento la sua indipendenza dalle ingerenze partitocratiche che “come piovre a poco a poco soffocano e stroncano” la vita democratica, combatterà l’elefantiasi dello stato burocratico (“lo stato getta milioni e milioni dalla finestra per quella demagogia che è penetrata nelle ossa dei politicanti italiani”), il populismo (“quando si vuole l’impossibile non si può vincere la disoccupazione e debellare il pauperismo”), i rapporti dell’economia con il mondo bancario (“la perdita della libertà economica segnerà la perdita effettiva della libertà politica”), la corruzione nell’attività politica.

Morirà a Roma nell’agosto di sessanta anni fa. Pochi mesi prima, ebbi il dono di conoscerlo accompagnando un anziano “popolare” che gli rendeva visita in un convento di suore canossiane sull’Appia Antica. Al momento di congedarmi, lo salutai: “Lieto di averla conosciuta, Senatore!”. Con i suoi occhi chiari, mi fissò e mi rispose: “Io sono un sacerdote, non un politico!”. Quando, a Roma, passo davanti al rinnovato “Santa Chiara” non posso fare a meno di pensare agli uomini liberi e forti e chiedermi se coloro che entrano nei vicini palazzi lo siano davvero!

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