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Opinioni

EUROPA/5 NUOVA TERRA

EDOARDO ZIN - 24/05/2019

Hanna Arendt

Hannah Arendt

La giornata tediosa induce alla lettura. Dalla libreria estraggo un libro di Hannah Arendt. Si tratta degli atti di un convegno su “Politica e pensiero” tenutosi a Parigi nel 1996. Non è certo il volume ameno che desidero per accingermi ad un buon sonno. Il fascicoletto è mal ridotto, impolverato e le pagine si slegano. Do un’occhiata e, anche per accontentare mia moglie che mi rimprovera di non essere capace di separarmi da inutili libri, lo getto nel cestino.

 Nell’atto di disfarmene, il libro si apre e mi colpisce un periodo del testo da me sottolineato. Lo leggo: “In lui non c’erano tracce né di solide convinzioni ideologiche, né di motivazioni specificatamente perverse e la sola caratteristica che si poteva notare in lui e che non nascondeva nel suo agire (…) era la mancanza assoluta di pensiero”.

 Caspita – mi sono detto – potrebbe casualmente sembrare il ritratto del potente di turno: non un’ideologia, cioè una visione integrale della sua politica. Condivisibili magari dal buonsenso, “…le motivazioni del suo agire sono espresse con un linguaggio greggio. È capace d’infiltrarsi nel pensiero altrui con espressioni ruvide pur di guadagnarne il consenso, ma è essenzialmente incapace di prevedere le conseguenze gravi delle sue parole”.

 Hannah Arendt nella sua descrizione si riferiva a un comandante di un campo di concentramento nazista e sia ben lungi da me -tengo a chiarirlo- paragonare il “kapò” con il politico cui penso: l’uno non c’entra nulla con l’altro. Il mio politico non appartiene a una classica ideologia: in economia, è per il piano o per il mercato? Certamente non è per il bene che sovrasta l’utile. In diritto ondivaga tra il pubblico e il privato, l’unico codice che conosce è il giustizialismo e l’unico modo per sanzionare i reati lo individua nella forza politico-muscolare.

 Mi sembra che la sua sia una prassi senza dottrina o, meglio, un’assenza di idee. Se le possiede, sono contradditorie. È anch’egli frutto della caduta delle ideologie. Non è capace di avere una posizione ideale che leghi tutti i problemi della vita pubblica. Abbraccia solo il pragmatismo che parcellizza, che divide, che frammenta. Crea tante paure, ma assicura che con lui ci sarà maggior protezione. Difende i confini, è sovranista, ma non è come il patriota che si batte per la gloria e il prestigio del proprio paese: no, lui – che invocava dapprima la secessione, poi il federalismo e ora l’autonomia – esalta e fa praticare il culto della forza politica pur di presentare un’immagine del suo partito capace di sovvertire l’Europa unita. Rifiuta di confrontarsi con gli avversari e tira dritto con oltranza per raggiungere i suoi obiettivi ormai riducibili alla sola lotta contro gli sbarchi e alla non attuabile flat tax. Non si tormenta per la cruda realtà dei conti pubblici: se ne fa un baffo!

 Condanna il Papa, ma brandisce il Crocifisso, il rosario e il Vangelo e fra di lui e la folla di individui che lo ascoltano si viene a creare una caricatura del sacro per porre la propria vittoria sotto il manto protettivo di una religiosità priva della spiritualità che sola può portare alla liberazione autentica dell’uomo: Gesù ha proclamato il bene e non è lecito ai suoi seguaci accettare di operare per il male.

 Non è un leader carismatico, è piuttosto un capo: non accetta consigli, dà ordini. Non è un simbolo, ma un marchio che cambia di volta in volta come i giubbotti che indossa.

 Temo che il suo atteggiamento derivi dall’incapacità di comprendere il passato per contrastare il pericolo di ripiegarsi continuamente su un presente che fugge e di non vedere davanti a sé il futuro che avanza. Se guardasse alla storia, spesso dimenticata o occultata, potrebbe attingere linfa per riportare alla luce la saggezza popolare a cui spesso si riferisce e trarre da essa un’ispirazione capace di fecondare il terreno in cui gli uomini, riuniti in patrie senza confini, potranno trapiantare le proprie radici per fare crescere nuovi alberi che si alimentano da una nuova terra: è la sola cosa che possiamo fare per far rinascere un’ antica civiltà, nuova rispetto al caos spaventoso in cui siamo immersi.

 Agli europei spetta scegliere se continuare con questi limiti o avere la protezione contro simili derive, possedere un po’ di benessere e molta bellezza, i più sventurati godere di un sostegno per placare la loro sete di giustizia. E contemporaneamente l’affermarsi di un silenzio in cui possa germogliare la concordia, l’unità, la fratellanza. Così – e non con gli amuleti sacri – si darà spazio anche a Dio il quale si serve anche dei servi inutili purché pratichino il recupero degli “scarti”.

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