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Cultura

DA HODLER A GIACOMETTI

ROSALBA FERRERO - 19/07/2019

lydia-escher-welti‘Hodler – Segantini – Giacometti. Capolavori della Fondazione Gottfried Keller’: la mostra in essere al MASI di Lugano sino al 28 luglio, curata da Tobia Bezzola direttore e Francesca Benini responsabile artistico del Museo, offre una carrellata della produzione artistica elvetica tra Otto e Novecento, intervallata da rapidi excursus nei secoli precedenti.

All’ingresso della mostra è posto il ritratto di Lydia Escher-Welti eseguito da Karl Stauffer-Bern: elegante sorridente volitiva avvolta in morbide sete color paglierino. La Fondazione cui appartengono tutte i capolavori esposti, è opera sua. Proprio Lydia Escher, mecenate ed amante dell’arte, con l’obiettivo di impedire la vendita all’estero di opere d’arte elvetiche, per riacquistare e riportare in Svizzera le opere già vendute, e per favorire la conservazione del patrimonio culturale nazionale, costituì nel 1890 la Fondazione che volle dedicare all’amico del padre e frequentatore della famiglia, che considerava un modello assoluto di riferimento nel panorama culturale svizzero, Gottfried Keller, famoso scrittore e pittore all’apice del successo. Nel 1891, prima di perire tragicamente, la Escher, unica figlia di Alfred Escher, famoso imprenditore e uomo politico, chiamato ‘re Alfred I’, il cui nome è associato alla Ferrovia del Nord-est, al Politecnico federale, al Credito svizzero, alla Società svizzera di assicurazioni generali sulla vita dell’uomo, alla Ferrovia del Gottardo, destinò l’ingente eredità avuta dal padre proprio alla fondazione Keller, che poco dopo aver istituita, aveva donato alla Confederazione svizzera.

La Fondazione possiede oggi circa 6500 opere d’arte, alcune delle quali sono visibili nei musei cantonali, poiché lo statuto prevede la dislocazione permanente di opere ai musei e la disponibilità per le esposizioni nel territorio nazionale.

Le celebrazioni del duecentesimo anniversario della nascita sia di Alfred Escher che di Gottfried Keller si coniugano con la mostra che ripercorre le tappe fondamentali dell’arte svizzera, raccontate proprio con le opere di proprietà Keller.

Il percorso si apre con un’opera di Giovanni Serodine ‘La Vergine dei Mercedari’. Secondo la concezione drammatica secentesca, la tela è databile intorno al 1620, la struttura della scena è solenne, giocata sulle predominanze della luce che disegnano la dimensione spaziale: la Madonna porge le insegne dei Mercedari a San Pietro Nolasco, tenendo in braccio un Bambino Gesù che si volge distratto attirato dal velo di una religiosa

Il Settecento è raccontato dai paesaggi alpini di Caspar Wolf , il ‘miglior pittore delle nostre montagne’ come scrive Heinz Zumbühl dai ritratti di Jean-Étienne Liotard, dallo stile assolutamente ‘ verista’; dal ‘Peccato inseguito dalla morte’ di Johann Heinrich Füssli, che in forma cupa e densa di pathos propone un episodio del Paradiso perduto di Milton, e da Giuseppe Antonio Petrini, che gli si contrappone con soggetti religiosi e pacati.

E poi molti lavori dell’Ottocento, rappresentato da Albert Samuel Anker ‘il pittore nazionale’, dal romantico Rudolf Koller, da Robert Zünd, da Alexandre Calame, Vaudese di Vevey, affermato paesaggista – fu precursore dei paesaggisti piemontesi dell’Ottocento-, che nel 1844 dipinse ‘la Grande Eiger’, un olio dalla impostazione decisamente romantica: la luce si fa strada tra e le ripide pareti dell’aspra montagna e le illumina soffusa.

Di Ferdinand Hodler è esposta ‘Der Auserwählte’ una tela monumentale, misura 2 metri per 3 circa, a tempera ed olio dipinta nel 1893, che risente delle influenze simboliste: intorno all’Eletto volteggiano, quasi in una danza rituale, figure simili, disposte in cerchio l’una accanto all’altra: la riproduzione ravvicinata della stessa figura reitera l’impressione indotta da ogni immagine e ne intensifica il messaggio espressivo, secondo il procedere che il pittore chiamò ‘Parallelismo’. In mostra è presente anche ‘Sera sul lago Lemano: le forme alpine si riflettono nelle acque lacustri, il rosa il bianco e l’azzurro si mescolano in un’atmosfera armoniosa, cui si contrappone il più cupo ambiente lacuale de ‘Die Toteninsel’ uno dei più famosi esempi di ‘pittura evocativa’, di Arnold Böcklin, la prima delle cinque varianti che Böcklin realizzò dell’opera.

‘Esposto per la prima volta dal 1899 a sud delle Alpi, e definito il testamento spirituale dell’artista’ si può ammirare il maestoso trittico ‘La Natura, La Vita, La Morte’ che Giovanni Segantini progettò per l’Esposizione Universale di Parigi del 1900 e che è concesso in permanenza al Museo di St. Moritz; una allegoria della vita nelle sue fasi naturali, dalla nascita alla morte, collocata dal pittore in un paesaggio alpino, dai colori luminosi intensi rarefatti come l’aria d’alta quota. Segantini la considerava la sua ‘prima vera opera’. Del trittico si stampa nella mente l’opera centrale, ‘La Natura’, con il suo cielo terso, d’un blu intenso solcato da sottili pennellate d’oro e lilla del tramonto, con la corolla delle montagne che delimitano lo sfondo, coi pascoli disseminati da sassi e percorsi dai pastori che radunano le mucche sul far della sera: si percepisce l’armonia nel silenzio, nel sereno contatto tra uomini e animali, una serie di emozioni controllate e profondissime che si ritrovano nelle altre tele ‘La Vita’ e ‘La Morte’ in cui la natura è tutta ricoperta di neve, d’un bianco accecante su cui si stagliano le persone vestite a lutto.

Del 1913 è ‘Bidnis der Tochter’, di Max Buri; campeggia la figura della figlia Hedwig: essenziali, semplificate le forme della ragazza, dai neri capelli corvini divisi dalla riga che contrastano col bianco del collettone di pizzo della camicetta; fa da sfondo un paesaggio lacuale luminoso, reso con colori accesi ed essenziali.

Di Felix Vallotton è la ‘Natura morta’: l’immagine nitida, la sintesi formale, i colori vivi e compatti ne hanno fatto un vero archetipo per le opere successive del genere.

Opere di Otto Meyer-Amden, Cuno Amiet, Johannes Itten illustrano il Novecento.

Giovanni Giacometti è presente con ‘I fanciulli al sole’ una tela in cui ‘il colore diventa luce, forma, vita’ secondo la lezione dell’espressionismo.

Alberto Giacometti, il figlio, chiude la mostra con la scultura ‘Busto di Annette’, in deposito al Musée d’art et Histoire Genève, del 1964. Il maestro gioca con le forme filiformi che l’uso del bronzo rende possibili, creando una figura possente per il potenziale evocativo, e al tempo stesso fragile per la natura di donna dai grandi occhi gli zigomi pronunciati, i capelli raccolti che rendono ancor più sensuale il lungo collo slanciato.

‘Hodler – Segantini – Giacometti. Capolavori della Fondazione Gottfried Keller’
MASI Lugano
fino al 28 Luglio 2019

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