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Cultura

ECONOMIA COME SCIENZA

LIVIO GHIRINGHELLI - 29/11/2019

adamsmithNel 1776 pubblicando l’Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni Adamo Smith (1723-1790) operava un salto qualitativo nel lento processo della scienza economica, che si sarebbe svolto quasi inavvertito, ma continuo e irreversibile, dalla metà del Seicento alla metà del Settecento: si trattava non tanto del rinnovamento del contenuto dell’indagine economica, quanto del rinnovamento del metodo.

La scienza economica nasceva in virtù di condizioni particolari determinatesi nella conoscenza scientifica e nella speculazione filosofica. Smith utilizzava i tanti frammenti analitici del passato per costruire un modello sistematico. La sua è la prima teoria che affonda le radici nel nascente capitalismo industriale, guardato con prevalente ottimismo: nelle sue tendenze latenti si avvertivano smisurate possibilità di crescita. Le implicazioni di politica economica liberista si adattavano perfettamente alle esigenze della borghesia manifatturiera inglese. Facile e piacevole lo stile, una sottile vena d’umorismo e un sincero sentimento di simpatia per i poveri caratterizzavano l’opera.

Smith nasce a Kirkcaldy in Scozia nel 1723, a 14 anni diventa studente di filosofia all’Università di Glasgow. Brillantissimo negli studi, consegue nel 1740 una borsa di studio per il Balliol College di Oxford.

Ottenuta la laurea, cinque anni dopo è chiamato dalla sua antica Università di Glasgow a ricoprire a cattedra di logica. Indi passa a quella di filosofia morale e dal naturalismo deriva i presupposti ideologici del suo schema economico: utilitarismo, individualismo, liberismo. Il massimo vantaggio individuale coincide col massimo vantaggio sociale. Dannoso è ogni intervento dello Stato.

 Sintesi della sua filosofia l’opera La teoria dei sentimenti morali, pubblicata nel 1759. Nell’ordine naturale della società, provvidenziale, gli istinti guidano la condotta economica. Il criterio del guadagno non può essere che benefico, unica regola razionale. Ogni individuo opera necessariamente per rendere il reddito annuo della società il massimo possibile, condotto da una mano invisibile.

Smith distingue il valore d’uso, che è una qualità oggettiva, dal valore di scambio. All’origine del valore di scambio c’è il lavoro. In un’economia progredita il valore dei beni è dato dal compenso dei tre fattori produttivi: il salario, che compensa il lavoro presente, la rendita, che compensa il fattore naturale, la terra, il profitto, che compensa il capitale. Il valore dei beni è dato perciò dal lavoro comandato, o mobilitato.

 Produzione e distribuzione sono inscindibilmente connesse. “Il prezzo naturale o valore oggettivo è il prezzo centrale attorno al quale i prezzi di tutte le merci gravitano in continuazione “.

L’ostacolo più grave che si frappone alla funzione equilibratrice del mercato è il monopolio, mentre il mercato concorrenziale è capace di assicurare l’ottima collocazione delle risorse.

Ma il grande tema di Smith è quello dello sviluppo. Il decollo del sistema, cioè il passaggio dalla stazionarietà alla crescita, esige la precondizione necessaria, ma non sufficiente, di un sovrappiù agricolo. Il sovrappiù deve essere sottratto ai possibili consumi di lusso al fine dell’accumulazione.

 Lavoro produttivo è quello che non si esaurisce nella sua prestazione, capace invece di mobilitare nuovo lavoro. Predomina una concezione unilaterale dell’efficienza, tale da sopravvalutare gli aspetti quantitativi rispetto a quelli qualitativi (fatica, pericolosità, sicurezza del lavoro).

Smith esalta il risparmio e condanna la prodigalità come dannosa agli individui e alla collettività. La classe con più spiccata attitudine al risparmio è la borghesia (più che una classe è esaltata una funzione).

In una situazione di sviluppo economico l’accumulazione provoca un’alta domanda di lavoro d parte dei percettori di profitto e l’alta domanda di lavoro fa crescere i salari. Salari e profitti possono crescere assieme; gli alti salari inoltre stimolano il progresso tecnico, fattore fondamentale per l’aumento della produttività. È questo uno degli apporti analitici più significativi di Smith.

L’aumento di produttività permette ai profitti di crescere nonostante l’aumento dei salari con prezzi relativamente stabili. Profitti e salari crescenti a loro volta comportano aumento di domanda dei prodotti agricoli e quindi rendite crescenti. Spezzato il circolo vizioso della stazionarietà il processo di sviluppo è capace di autoalimentarsi.

Pur risentendo dell’influsso della fisiocrazia, Smith muove dalla premessa che il lavoro umano produce ogni ricchezza; ogni incremento di questa è dovuto a incremento della produttività del lavoro e in particolare a un perfezionamento della divisione del lavoro.

 Se il valore di una merce è la quantità di lavoro necessaria per produrla, lo scambio di merci in realtà è lo scambio di lavoro necessario a produrre le merci.

 La sua è una filosofia del lavoro. Nella Ricchezza delle nazioni il liberismo viene notevolmente attenuato. La discrepanza tra interesse individuale e interesse sociale è attenuata da un attivo intervento dello Stato in materia di istruzione della classe lavoratrice.

 Con lo sviluppo il saggio di profitto tende a diminuire; in quanto prezzo per l’uso del capitale sarà soggetto alla legge del mercato e perciò tenderà a decrescere con la crescente accumulazione, cioè con la crescente offerta di risparmio.

 Si delinea la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto. Reagendo alla caduta i capitalisti sono indotti a concepire una struttura oligopolistica o monopolistica del mercato, a scapito dell’interesse della società.

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