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Apologie Paradossali

TREGUA. E POI?

COSTANTE PORTATADINO - 31/01/2020

votoPerdere una partita, succede. Capita anche ai dominatori di tanti campionati di seguito. Poi magari si vince lo stesso il campionato, anche grazie agli errori contemporanei degli avversari. O forse si punta alla Champions. Se non si può sempre vincere, bisogna saper perdere. Se non è facile nello sport, figuriamoci in politica, ambito in cui vige un principio inconfutabile: ‘mai ammettere i propri errori’. Perciò, mentre Sarri può addolcire il boccone amaro fatto ingoiare agli Juventini, col mancare la ‘spallata’ al campionato, promettendo di rilanciare la concentrazione e di mantenere la testa della classifica, altrettanto non si può dire di Salvini e ancor meno della per ora magmatica dirigenza grillina.

Salvini continua a considerarsi vincitore morale sulla base di un concetto inapplicabile in politica: “se si fosse votato per le politiche nazionali sarei risultato vincitore” e promette pronta e meno ardua rivincita nelle prossime elezioni regionali della tornata primaverile. Crimi pubblica sul blog del M5S: “Ogni volta che un risultato elettorale non ci sorride sento partire il solito coro che scandisce all’unisono: il MoVimento è finito, è in ginocchio, sta scomparendo. In più, questa volta, viene dato per scontato il ritorno del bipolarismo, come se le elezioni in due regioni equivalessero al voto nazionale. Anche questa volta li deluderemo perché, chi dice questo, non ha capito cosa sia veramente il MoVimento 5 Stelle, del perché siamo nati e quali sono gli ideali che ci guidano e ci rendono diversi da tutti gli altri”. Berlusconi nasconde la catastrofe emiliana con la vittoria calabrese, alla quale non ha di certo contribuito la battuta (di spirito?) sulla virtù della candidata, vanamente messa alla prova da lui stesso.

Tutti si preparano a resistere, anche coloro che come i pentastellati in Emilia Romagna hanno coscientemente applicato la logica della desistenza, in sintonia con le Sardine, che sventolando lo spauracchio Salvini hanno contribuito a spostare voti da M5S a PD. La prossima battaglia contro i mulini a vento sarà il referendum per la diminuzione del numero dei parlamentari. Acqua fresca rispetto ai veri problemi del bilancio dello Stato e zero assoluto nella funzionalità istituzionale, ma ottima occasione per poter vantare una vittoria. Questo rinvio del rendiconto ci lascia, come elettori, due mesi di tregua, fino al referendum del 29 marzo, prevedibilmente ampiamente disertato, non essendoci la necessità di quorum. La tregua cesserà ben presto per l’aprirsi di una nuova stagione di elezioni regionali, verosimilmente anche più importanti di queste ultime, perché tutte contendibili. Nel frattempo si presume che verrà alla decisione finale l’ennesima manipolazione della legge elettorale, questa volta indirizzata verso il ritorno al sistema proporzionale, sia pure con uno sbarramento all’ingresso piuttosto alto.

Vale la pena di valutarne l’impatto istituzionale, parlamentare e anche culturale. È ovvio che al proporzionale, anche corretto, si associa la possibilità di costituire le maggioranze di governo in sede parlamentare, senza aver stretto un precedente ed impegnativo patto di coalizione. Paradossale che a sostenere questa ipotesi sia il M5S, la cui teoria della democrazia diretta e dell’introduzione del vincolo di mandato tende a svuotare il compito del Parlamento, a ridurlo ad esecutore di una volontà popolare consultabile di volta in volta tramite il mezzo informatico o, al più, il referendum consultivo, che nel silenzio assordante di partiti e mezzi di comunicazione, sta per essere oggetto di una rilevante modifica costituzionale. La contrarietà dei partiti del centrodestra a questa soluzione è nota e molto facilmente spiegabile: altrettanto contrari alla lentezza, indecisione e frammentarietà del sistema parlamentare, nonché confidando sulla impossibilità di coalizione tra PD e M5S (ma sarà vero?), puntano decisamente sul sistema maggioritario, per assicurare governabilità, ‘sovranità’ ed efficacia.

La scommessa del governo è resistere, a qualsiasi costo, fino all’approvazione della legge elettorale proporzionale, sicuramente fino all’elezione del Presidente della Repubblica e possibilmente fino al consolidarsi anche numerico dell’attuale alleanza; quella dell’opposizione è scardinare la tenuta della maggioranza al Senato, suscitando la defezione di un pur piccolo numero di pentastellati, insoddisfatti della subordinazione politica, ormai indiscutibile al PD, conclamata nelle parole e nei fatti dallo stesso Presidente del Consiglio Conte.

Più difficile capire la partita che potrà giocare Italia Viva. Le doti di ‘narratore’ di Renzi potrebbero rivelarsi poco utili in un contesto polarizzato come quello lasciato sul campo dallo scontro in Emilia Romagna. Certamente più di Salvini ha imparato la lezione di non accentrare su se stesso l’attenzione di amici e nemici, tuttavia, per non rischiare di finire sotto la soglia di eleggibilità dovrà pur segnalare una diversità del proprio partito dagli attori principali della coalizione, un rischio per il governo e per il partito non facile da calcolare.

Rimane da valutare il compito del Presidente Mattarella, stretto tra due obiettivi parimenti necessari, ma difficilmente conciliabili: evitare crisi di governo, che potrebbero innescare crisi finanziarie pericolose in un momento di grande instabilità dell’economia internazionale e nello stesso tempo garantire l’opposizione, minoritaria in Parlamento ma rafforzata nel Paese, specie se corroborata da ulteriori successi nelle elezioni regionali di primavera.

In questo contesto è diventato ancora più problematico che mai il compito dei cattolici che volessero impegnarsi in questa concreta realtà politica, obbedendo all’invito del papa e dei vescovi di abbandonare il ruolo di spettatori dal balcone e di scendere nella piazza della concretezza. L’insignificanza del risultato del ‘Popolo della famiglia’ inserito nel contesto del Centrodestra in Emilia Romagna deve far riflettere. Se in un sistema maggioritario e bipolare verrebbero reclutati come truppe di complemento da ciascuna delle due parti, tuttavia con qualche residua possibilità di far valere proposte che rispecchino le loro convinzioni profonde, nel sistema proporzionale, cioè nel contesto di una pluralità di partiti con debole caratterizzazione ideale e forte carica di pragmatismo, il rischio dell’insignificanza potrebbe essere anche maggiore. Lo teme e lo esprime con rammarico chi ha partecipato con passione alla ormai remota stagione dell’unità politica dei cattolici e del dialogo collaborativo con laici e marxisti. Di solito mi piace segnalare i paradossi positivi, quelle verità nascoste che possono emergere dai pregiudizi diffusi nella folla; resto perplesso e incapace di proposta di fronte all’affievolirsi di queste possibilità, paradossalmente proprio quando sembrerebbero venuti meno gli antichi ostacoli ideologici. Come si potrà riaffermare una proposta politica orientata dalla cultura cattolica e dalla dottrina sociale della Chiesa è un problema troppo grande perché lo possa risolvere da solo chi scrive, oso solo affermare che la soluzione non potrà essere né la resistenza, cioè il mantenere uno spazio di potere in qualsivoglia partito esistente, né la desistenza, l’abbandono dell’impegno politico e il rifugio nel sociale e nel religioso.

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