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Attualità

ANCHISE INCORONATO

LUISA NEGRI - 13/03/2020

Angelo Morbelli, Giorno di festa al Pio Albergo Trivulzio

Angelo Morbelli, Giorno di festa al Pio Albergo Trivulzio

Quando Enea lasciò Troia in fiamme si caricò il vecchio Anchise sulle spalle e lo condusse con sé per preservarlo da una fine tragica. Si tratta di una immagine più volte rievocata che ci ricorda l’apprezzamento delle antiche civiltà per i vecchi. O anziani, come preferiamo chiamarli oggi.

Evitando di sfiorare soltanto l’idea di una situazione, quella della vecchiaia, che forse ci si rifiuta di prendere in considerazione da parte di molti, a volte anche degli stessi interessati.

Ci sono stati pittori come Angelo Morbelli, lo chiamavano il poeta della vecchiaia, che ascoltava, studiava e raccontava i vecchi nei suoi quadri e per questo andava a cercarli nella cruda realtà degli ospizi in cui sostavano muti, tra solitudine e silenzio. Morbelli mise addirittura studio per qualche tempo al Pio Albergo Trivulzio di Milano. Ma più che assaggi di poesia, i suoi disegni e dipinti erano rappresentazione di solitarie tragedie della vecchiaia di ciascuno dei poveri ospiti.

Quanti lo farebbero oggi? Quanti di noi, abituati alle prestidigitazioni etimologiche volte a allontanare anche solo le parole che rappresentano una realtà sgradita, impudica e inammissibile come la vecchiaia?

Piacciono infatti, nella quotidianità, le locuzioni infiorate. Come quel ‘diversamente abile’: che è il più evidente tra gli esempi assurdi di un lessico consegnato all’ipocrisia.

Ecco, questo coronavirus che ci sta sempre più assediando, e che non sembra voler smettere la sua crescita, per numero di persone colpite e forse anche per intensità di violenza virale, sta scoprendo molte carte, tante carte false con le quali ci siamo divertiti, e ancora continuiamo, a deformare la realtà. Non chiamiamo più i vecchi con il loro nome, cosa sconveniente, ma anziani.

Ogni giorno, di questi tempi, ci danno il conto degli anziani morti, perché già ammalati.

Ma sono davvero quei morti, ecco la cosa strana, quegli stessi che spesso ci siamo raccontati come ‘diversamente giovani’, forse perché così li facciamo sentire, e li percepiamo, più giovani ogni volta che ci serve? Non tendono, del resto, loro stessi -ci si giustifica- a vestirsi, a parlare, a continuare a sentirsi giovani?

Vero è che alcuni accudiscono i nipoti, altri mantengono figli eternamente iscritti all’università o in cerca di lavoro, o pagano loro di tasca propria vacanze e viaggi, persino bollette della luce o del telefono.

E li abbiamo visti di questi tempi in prima linea, da pensionati di nuovo arruolati in veste di medici o infermieri, o impegnati a portare viveri e generi di conforto ai figli in zona rossa.

Non è facile allora capire come tanti ‘diversamente giovani’ si siano ammalati di coronavirus, e parecchi siano deceduti per questa diversamente influenza. Perciò si dice : i deceduti sono anziani afflitti da malattie croniche, diabete, pressione alta, colesterolo fuori controllo, e così via. E quindi, già di per sé, ottime prede del coronavirus.

Questa è infine la realtà che ci viene presentata: il coronavirus ha le sue simpatie. Cerca mani rugose e capelli bianchi, occhi malinconici e sguardi dimessi.

Forse è proprio così.

Perché il Coronavirus, lui sì, ti guarda dritto negli occhi e ti riconosce per quello che sei. Un vecchio, un vecchio come Anchise, che però spesso porta ancora in braccio i bambini e in spalla i giovani, sopportando pesi non adatti alla sua età. Un vecchio che avrebbe voglia di tornare adolescente, solo per scrollarsi un po’ la vita di dosso, per ritrovare qualche guizzo di libertà da pensieri, preoccupazioni, incombenze fuori tempo e misura.

Ma che, se si ammala, muore. Semplicemente muore. Perché ‘anziano’.

 

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