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Cultura

MIEP, LA CUSTODE

GIOIA GENTILE - 20/03/2020

Miep Gies

Miep Gies

Hastag-io-sto-a-casa. Ma non posso uscire neanche per fare una passeggiata? E se devo portare fuori il cane? E come occupo il tempo? Un messaggio rimbalza sui social: ai nostri nonni è stato chiesto di andare in guerra, a noi di restare sul divano. Come dargli torto. Io, anche se non amo stare chiusa in casa, non ho problemi ad occupare il tempo: ho pensato, ad esempio, di portarmi avanti con le pulizie di Pasqua (per ora solo pensato) e di leggere. E questo l’ho fatto.

Ho dovuto rileggere Il diario di Anne Frank, e un paragone mi è venuto spontaneo: una bella differenza tra il loro isolamento e il nostro! Ho rivisto l’alloggio segreto, che avevo visitato ad Amsterdam anni fa, e ho rivissuto le sensazioni di claustrofobia e di angoscia che mi avevano accompagnato, durante tutta la visita, al pensiero che per più di due anni otto persone avevano condiviso quegli spazi angusti, nella paura costante di essere scoperte. Eppure Anne era riuscita a scrivere, a studiare, ad analizzare se stessa e gli altri, a spiare con gioia l’arrivo della primavera sui rami del castagno, unico elemento del mondo esterno che riuscisse a vedere dalla finestra sul retro.

Poiché avevo già letto diverse volte Il diario, ora ho riflettuto soprattutto sulla figura di Miep Gies, una delle persone che protessero i rifugiati, a rischio della propria vita. Ho scoperto che nel 1987 aveva pubblicato un libro intitolato Si chiamava Anne Frank. L’ho comprato (grazie ad internet e all’e-reader non ho dovuto uscire né aprire la porta al corriere) e ho cominciato a leggerlo. Non tutto d’un fiato, solo qualche pagina ogni sera, prima di addormentarmi. L’ho centellinato, perché sapevo che mi sarebbe mancato quando l’avessi finito. Infatti, l’ho finito ieri e adesso mi sento orfana: sindrome da abbandono, ogni tanto mi succede con i libri che mi coinvolgono.

È scritto in un linguaggio semplice, quasi elementare – probabilmente frutto di un racconto orale che la co-autrice (Alison Leslie Gold) ha poi messo nero su bianco – ma l’immagine di Miep che ne emerge è quella di una donna straordinaria: dietro al volto rotondo e pacioso, come appare in una foto giovanile, si nasconde un animo d’acciaio, e lo si indovina nello sguardo limpido e intenso. Quando Otto Frank, il padre di Anne e direttore della ditta presso cui Miep lavorava, le chiese se se la sentisse di prendersi cura di loro durante la clandestinità, non ebbe tentennamenti, non ci pensò un momento. E per venticinque mesi, tutte le mattine spostò la libreria che nascondeva il rifugio segreto e salì a prendere la lista delle cose di cui i clandestini avevano bisogno. E tutti i pomeriggi, quando gli operai se ne erano andati, risalì quelle scale con ciò che era riuscita a comperare grazie alle tessere annonarie false che il marito le aveva procurato.

Ancora più importante era, forse, la vicinanza affettiva che dimostrava a quelle persone e soprattutto ad Anne: restava a volte a mangiare con loro, preparava regalini per i compleanni, si ingegnava a festeggiare le principali ricorrenze, nonostante le ristrettezze sempre maggiori che la guerra imponeva. Portava loro riviste e libri, edulcorava le tragiche notizie che avevano cominciato a diffondersi sul trattamento riservato agli ebrei deportati. Sempre nel terrore che i suoi spostamenti fossero controllati e i suoi amici scoperti. Quando furono catturati, tenne testa al poliziotto che la minacciava riuscendo in qualche modo a non farsi arrestare e alcuni giorno dopo ebbe il coraggio di presentarsi al comando tedesco a proporre un riscatto.

Fu lei a salvare il diario di Anne e gli altri scritti sparpagliati sul pavimento dell’alloggio: nonostante i poliziotti le avessero ordinato di non toccare niente perché sarebbero ritornati, raccolse tutte le pagine e le conservò in un cassetto della scrivania. Non volle leggerle. Per fortuna, disse alcuni anni dopo, altrimenti avrebbe dovuto bruciarle per evitare di mettere in pericolo le persone che vi venivano descritte.

Come si sa, solo Otto ritornò dalla prigionia. I Gies lo accolsero nella loro casa e con lui aspettarono ogni giorno notizie di Anne e Margot. Per sei anni vissero come una sola famiglia, finché egli non decise di trasferirsi in Svizzera.

Miep lesse il diario di Anne solo dopo che uscì la seconda edizione: si chiuse in una stanza e lo lesse d’un fiato, dall’inizio alla fine, rivivendo quegli anni drammatici a cui prima non era riuscita a ripensare.

Quando Otto Frank morì, fu lei a mantenere viva la memoria di quegli eventi, andando a parlarne nelle scuole e occupandosi della fondazione che porta il nome della sua giovane amica. Lo fece quasi fino alla morte, che la colse nel 2010, un mese prima che compisse 101 anni.

Ho ammirato incondizionatamente questa donna che per cinque anni ha vissuto da prigioniera, pur non essendo reclusa: prigioniera di una dominazione straniera, della paura, dei bombardamenti, della fame. Eppure custode dei suoi valori, della sua libertà, dei suoi amici, prigionieri più di lei. E di noi, che siamo solo confinati sul divano.

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