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Stili di Vita

IMPOTENZA, ONNIPOTENZA

VALERIO CRUGNOLA - 24/04/2020

narrazioneHo pensato a queste righe ascoltando un albanese di guardia all’accesso a un minimarket. Rivolgendosi a voce alta a un’anziana signora in uscita, forse eccitato dalla presenza in coda di una giovane araba e di un africano, così ha letteralmente riassunto la storia del paese delle aquile. La lingua albanese è un unicum. Ha un’origine autoctona e non ha subito infiltrazioni o contaminazioni. È una lingua pura, come pura è la razza albanese, che può vantarsi, unica al mondo (altro che i tedeschi, aggiungerei), di essere la vera e sola razza ariana. All’obiezione della malcapitata signora che ricordava la falsità della teoria delle razze e l’uso criminoso fattone dai nazifascisti, l’uomo, deviando il discorso, si è messo a scaricare ogni colpa sui comunisti, una specie estinta senza rimpianti ben prima del 1989, ma che a suo dire governerebbe un po’ in tutto il mondo, Italia inclusa. Renzi, ipse dixit, è un comunista. Mi rallegra l’idea di rivolgermi all’amico Malerba con un compagno Stefano! Non è il mito della Grande Albania che riscatta le terribili sofferenze patite con Enver Hoxha; e gli incubi del passato non giustificano sindromi ossessive.

Mi sono detto: viviamo di fantasmi. Non solo il signore albanese: tutti, chi più chi meno, compreso chi scrive. Esistiamo come gruppi e come singoli mediante narrazioni. A guardare indietro, ogni epoca appare dominata da peculiari ossessioni circa una qualche autobiografia, anche quando non del tutto infondata, come l’intuizione di Piero Gobetti sul fascismo autobiografia della nazione.

Al momento prevalgono le cosiddette narrazioni positive. Ci sentiamo in obbligo, come comunità e come individui, di predicare e manifestare un incoraggiante ottimismo. È tutto uno stucchevole dirci addosso che ce la faremo, che la tempra e il genio italici anche questa volta come da millenni supereranno gli ostacoli, che i turisti torneranno come le rondini nel paese più bello del mondo (!), che il nostro animo fiero e generoso piegherà l’egoismo dei crucchi che ci vogliono spezzare le reni come hanno fatto con la Grecia. L’obbligo dell’ottimismo esortativo e ottativo è controbilanciato da equivalenti, anche se opposte, narrazioni negative, dal radicale pessimismo spregiativo. L’Itaglia e gli italioti sono malati cronici ormai inguaribili. Se tutto è andato male, se andrà ancora una volta male, la colpa sarà di un inesorabile decadimento (a qualcuno piace tabe).

Sembra che l’italianità, buona o cattiva che sia, discenda da una traccia genetica, da una caratteristica antropologica immutabile: per alcuni una virtù originaria, una proprietà della stirpe (???), per altri frutto di persistenze – il fascismo eterno (!!!) di Umberto Eco – o di mutazioni che dividono le fasi antropologiche in un prima e un poi (i due spartiacque più comuni sono Andreotti o Craxi, ma alcuni, incastonati alla loro âge d’or come un fossile alla pietra, le imputano ai leader della sinistra postcomunista, a partire dalle nozze con i fichi secchi tra cattolici liberali e residue giacenze azionarie della Ditta, e altri all’incapacità degli elettori italiani di fare buon uso del suffragio elettorale. Per alcuni verremo riammessi al Paradiso Celeste. Sul versante opposto, una volta caduti agli inferi, nessuna palingenesi ci redimerà. Nessuna delle due prospettive ha senso e ci può aiutare.

Ogni collettività ha a disposizione, o può creare e mescolare più narrazioni. A volerle afferrare, però, queste narrazioni mostrano la loro volatilità: non reggono a un esame razionale; se va bene sono forzature che amplificano un particolare separandolo da un insieme problematico, Una fiducia verbalistica in sé stessi si trasforma rapidamente in retorica vuota. Altrettanto retorica è la sfiducia di principio. Le coppie di narrazioni antitetiche hanno in comune la costruzione di un’identità che cerca conferme nel passato per la propria presunta attualizzazione.

Un’esemplificazione, giusto per fare dell’archeologia culturale. Pensate alla leggenda delle mission di Roma Eterna – una, l’impero; bina, l’impero romano e quello fascista; e trina, quella mazziniana della Roma civilizzatrice, culla del diritto, della spiritualità e della fraternità repubblicana tra i popoli), e alla parimenti leggendaria e manipolatrice idea di un’eterna Roma ladrona, caput di uno stato centrale vessatorio che campa saccheggiando le tasche delle laboriose etnie settentrionali.

L’alternanza o la compresenza di attivismo e fatalismo generazionali creano narrazioni complementari tra loro, anche se i frantumi che trascinano a valle hanno a monte vere o presunte filosofie della storia tra loro opposte. Molti miei coetanei hanno vissuto, in ambedue i casi male, prima l’attivismo e poi il fatalismo; oggi sperano che i giovani – una categoria che noi vecchi trattiamo come metafisica e indecifrabile – facciano il cammino inverso per una qualche alchemica catarsi.

Ognuno ha il dovere di indagare le narrazioni che lo costituiscono anche nei mutamenti temporali. Le identità non sono altro che schemi, posture e terminologie autoconvincenti che evochiamo a partire da ricostruzioni fantasmatiche del mondo di cui siamo transeunti inquilini, e dalle quali fatichiamo o a congedarci o a lasciarle sepolte nel cimitero che meritano. Un materiale ancor più refrattario e inquinante di ciò che il pensiero filosofico (non il lessico corrente), definisce ideologie.

L’esortazione “Conosci te stesso” è un invito a esaminare e riconoscere le colonne, i capitelli e le trabeazioni che sorreggono il nostro edificio autobiografico. Siamo tutti saccheggiatori e ricostruttori come i primi cristiani e i primi islamici. Molte volte queste narrazioni, spesso ad usum delphini, celano la nostra impotenza, o il nostro delirio di onnipotenza. L’ammissione di alcune debolezze può nasconderne altre. Freud parlava di copertura.

Dircelo ci farebbe bene: una narrazione non ci salverà. Se non passiamo ora al principio di realtà e non ci congediamo da figure retoriche, schemi del passato, attese escatologiche e deliri cospirazionisti, come potremo uscire da questa crisi e cambiare davvero strada?

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