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Politica

OPPORTUNITÀ EUROPEA

GIUSEPPE ADAMOLI - 18/06/2020

bandiereChi ha sempre creduto, al limite dell’utopia, nelle grandi potenzialità dell’Ue, ha ragione di mordere il freno, di lamentare le lentezze nella costruzione del progetto federale, di richiedere molta più integrazione sociale e politica.

Tuttavia, le serie analisi sulla storia dei 70 anni europei dalla Dichiarazione di Parigi (Robert Schuman) mettono in luce un progresso istituzionale che, seppure a volte difficoltoso o pigro, sarebbe sbagliatissimo annoverare fra le banalità storiche e mandare al macero come vorrebbero gli euroscettici.

Una cosa è chiara e certa, senza la drastica riduzione del diritto di veto dei singoli Stati sovrani sarà difficile marciare verso l’armonizzazione fiscale, la piena affermazione del dovere della solidarietà, l’obiettivo della Difesa comune.

Gli effetti della terribile pandemia con la conseguente recessione, mai vista dagli Anni Trenta del secolo scorso, hanno già però ottenuto un grande risultato impensabile solo qualche mese fa. Com’è noto il piano di Ursula von der Leyen “Next Generation Ue” prevede per l’Italia circa 172 miliardi di cui quasi la metà di trasferimenti da non restituire. Dovrà però essere approvato dai 27 Paesi dell’Unione.

La palla tocca quindi agli Stati del Nord, cosiddetti “frugali”, i quali debbono capire, come ha osservato proprio l’olandese Frans Timmermans, vice presidente della Commissione, che la solidarietà conviene a tutti. Tocca agli Stati dell’Est di Visegrad che per bocca di Orban considerano il Piano una soluzione assurda che toglie ai poveri per dare ai ricchi. Tocca, soprattutto, agli Stati del Sud che hanno l’occasione per un salto di qualità.

Per quanto riguarda l’Italia, Paolo Gentiloni coglie nel segno quando ribadisce che il Piano europeo non è una torta da spartire più o meno razionalmente ma un’occasione irripetibile per le riforme necessarie sull’ambiente e sulla infrastrutturazione digitale. Ma non solo. Fra le riforme ci sono le strozzature burocratiche che vanno ridotte drasticamente e il malfunzionamento della Giustizia che tiene lontani molti investitori stranieri.

La spinta europea può essere decisiva. Il Piano europeo funzionerà sui progetti approvati in Italia che saranno verificati a scadenze fisse in base agli stati di avanzamento su quali si otterranno i fondi. Le critiche a queste condizioni sono incomprensibili.

Perché mai l’Europa dovrebbe darci dei soldi senza impegni su come spenderli? O spenderli in parte per abbassare le tasse come avventatamente sostenuto anche da Di Maio? L’effettiva capacità dell’Italia (e degli altri Stati) di usare i fondi secondo le linee europee è l’unico modo per chiedere all’Olanda – citando un solo esempio – di abbandonare le sue pratiche aggressive che attirano la sede fiscale di parecchie imprese, anche italiane, per incamerare entrate che non gli spettano.

L’Italia, in particolare, deve darsi una seria e severa politica industriale per favorire il sistema produttivo privato come forza per riaccendere il motore dell’economia. Ci sono però delle eccezioni che renderebbero necessario che lo Stato entrasse nella governance della grande impresa.

Timmermans afferma che l’Italia potrebbe usare i fondi Ue per riconvertire l’Ilva di Taranto e costruire “l’acciaio verde” con l’idrogeno: un grande obiettivo dell’Europa.  In questa evenienza la partecipazione diretta dello Stato diventerebbe indispensabile. Per il nostro Sud sarebbe una grande sfida di modernità, di rilancio industriale, di protezione della salute.

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