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Attualità

COMMEDIA DI MARZO

ANNA MARIA BOTTELLI - 26/03/2021

fiori“QUESTA PRIMAVERA “

È il titolo di un libro di Carlo Castellaneta edito nel marzo 1984, che mi è capitato tra le mani in questi giorni. Le sue pagine sono ormai ingiallite e il suo indice parla di stagioni – passate, presenti, future – e tratta argomenti di sempre. La fragilità del rapporto uomo-donna, la delinquenza, la droga, la solitudine, ma anche la nostalgia della lontana giovinezza, caratterizzata da costumi e mentalità di una epoca diversa, ma sempre capace di rievocare momenti felici. L’autore conclude con le sue proiezioni verso il futuro, trattandole con sottile ironia. È la storia della “commedia umana” dove il protagonista uomo o donna non cambierà mai. Utilizzando lo stesso titolo, questa primavera che stiamo vivendo non senza qualche difficoltà, ci fa ritornare in mente il periodo prepandemico in cui tutto sembrava possibile, facile da ottenere, poche le difficoltà per raggiungere le mete prefissate. Ogni via – prevalentemente agli occhi dei giovani – sembrava quasi sempre in discesa. La fatica riferita dalle vecchie alle nuove generazioni, era raramente compresa. “Matusa” erano etichettati coloro che per saggezza ed esperienza mettevano in guardia i giovani. Ora siamo nel bel mezzo del guado: la stagione presente, questa primavera appunto, viene vissuta non così serenamente rispetto anche solo alla precedente del 2020, quando si diceva e scriveva “andrà tutto bene”. Ansie represse, depressioni latenti, difficoltà economiche con conseguenti tensioni intra ed extrafamiliari, unite alla paura generata dalla infodemia bombardante a 360 gradi, alimentano la tristezza e lasciano poco spazio – per il momento – alla speranza. Gli abbracci ancora vietati tra amici, la distanza fisica, l’attenzione ad ogni incontro sospetto, la didattica a distanza, i tamponi negativi e positivi che si rincorrono, i pro e i contro dei vaccini, le città semideserte, i saluti rapidi e timorosi durante i rari incontri, e altro ancora, rendono molto impegnativo il quotidiano, a qualunque età. Ma a qualche santo dobbiamo pure rivolgerci per ottenere la grazia di vedere la luce in fondo al tunnel! Il 19 marzo si ricorda da sempre S. Giuseppe, elevato a patrono della Chiesa Universale da 150 anni. Questo 2021 viene dedicato alla sua memoria e noi ci rivolgiamo a Lui con antico fervore chiedendogli l’aiuto – come si fa con il proprio papà – nei momenti difficili. Chiediamogli di illuminare le menti e i cuori e di liberarci dalla caligine della confusione e della paura. Di farci ritrovare la speranza e la serenità.

 

fiori2NEVE DI MARZO

Negli anni in cui le stagioni erano ben definite, marzo rappresentava quel piacevole tepore di inizio primavera. I prati verdeggianti e trapuntati di primule e viole, il sole più caldo, l’abbigliamento più leggero richiamavano i bambini – ai tempi della mia infanzia – a giocare nei cortili all’aperto o a cogliere i primi mazzi di fiori variopinti. Ricordo in particolare un prato non molto distante da casa mia – negli anni in cui la cementificazione non si era ancora tanto estesa – che tra marzo e aprile era una piacevolissima distesa di rare violette bianche e gialle: una meraviglia per i nostri occhi infantili, ma che le nostre mani – come ci era stato insegnato dai “grandi” – rispettavano nella giusta e oculata raccolta. A proposito di abbigliamento, ricordo che a marzo era uso passare dal pesante cappotto dei mesi freddi al soprabito decisamente più “soft” e quasi sempre di rigorosa fattura sartoriale. Stoffa e fodera spesso in abbinamento con l’abito sottostante, anch’esso nuovo, e dai colori più chiari rispetto alla “mise” invernale: dominavano gli azzurri, i rosa tenui o comunque le calde tinte pastello. Il grigio, il marrone o il verde scuro lasciavano il posto al chiaro della stagione incipiente. Ma in questa strana primavera 2021, il 19 mattina ci siamo alzati tutti con la sorpresa dei tetti innevati e dei fiocchi che continuavano ad imbiancare i primi fiori di pesco o di ciliegio. La neve di marzo è effimera tanto che già verso la fine della mattinata, alla nostra latitudine, non ve ne era più traccia. È rimasta tuttavia l’aria non proprio tiepida, che mi ha evocato altri anni freddi e nevosi a marzo, con brusca caduta della temperatura. Lo sono stati il 2004, il 2005, ma soprattutto il 2013, l’anno in cui Bergoglio è salito al soglio pontificio. Era il 13 marzo: nei tre giorni successivi si alternarono vento e sole per esitare in nevicate di discreta entità il 17 e il 18. Ma poi, dopo pochi giorni, tornò la calda brezza primaverile ad accompagnarci verso i riti pasquali.

fiori3SAN GIUSEPPE

Per gli abitanti del mio rione – Valle Olona – il 19 marzo rappresentava, fino al lontano 1962, un giorno significativo per l’intera Parrocchia, in quanto si festeggiava – proprio tutti insieme – attraverso recite augurali, poesie, canti, commedie di autori locali, l’onomastico del nostro Primo Parroco, l’amato Don Giuseppe Ambrosini (1898 – 1962), fondatore negli anni ’30 della Parrocchia dedicata a S. Agostino. Ricordo la mia ansia, che oggi si definirebbe “da prestazione”, prima bambina poi adolescente impegnata a recitare con le amiche oratoriane delle varie età, sul palco del Teatro Parrocchiale, sotto l’attenta regìa delle nostre Suore di Maria Ausiliatrice. Ci si trovava la sera del 19, molto prima dell’orario di inizio dei festeggiamenti, presso l’Oratorio Femminile per le ultime verifiche sull’apprendimento, sulla vestizione “in scena”, su tutta l’organizzazione nei minimi dettagli. Poi ci si avviava in gruppo verso l’Oratorio Maschile di allora, sede del Salone Parrocchiale con sipario e palcoscenico. Ricordo che le Suore facevano memoria alle mamme, nonne, sorelle, ma anche a noi bambine, di portare con sé una “corona” di spille da balia utili per gli ultimi ritocchi agli abiti (erano tuniche policrome di tessuto similseta, preparate dalle abili mani delle suore stesse) o per meglio fissare a livello delle spalle strutture in cartone a forma di ali, ricoperte da ritagli di carta così ben elaborati da simulare piume di angeli veri. Quel palco, anche se pulito, sapeva sempre di polvere, o meglio quella era la mia percezione. Invariato nel tempo lo scricchiolio delle assi di legno del pavimento, assemblate nei periodi ante guerra, apparentemente instabili tuttavia resistenti negli anni. Le luci, non come i moderni led, ma semplici lampadine “prima maniera” colorate in rosso, giallo, blu, verde, ecc. erano abilmente gestite, per la proiezione delle varie sfumature di colore che ogni tipo di recita necessitava, dal tecnico del settore, uno dei parrocchiani più anziani e fedeli. La botola del suggeritore era una sicurezza per tutti, ma anche uno spasso: per la foga di non far perdere battute, la persona addetta alzava il tono di voce tanto da “essere” apprezzato in platea! E così le risate erano assicurate. Eleganti i tendoni di velluto rosso del sipario, che, in quanto gestito a mano, spesso si inceppava! Ma era il bello, possiamo dire ora, della diretta e della genuina partecipazione “alla buona” di persone semplici, volonterose, impegnate a dimostrare la propria riconoscenza a un sacerdote che non solo aveva amministrato loro i primi sacramenti ma anche in alcuni casi, li aveva preparati al matrimonio. E Don Giuseppe sorrideva paternamente compiaciuto. L’ansia, al momento dell’apertura del sipario, era stellare in noi bambine, che volevamo dimostrare al nostro Sig. Parroco tutto l’affetto e la riconoscenza attraverso la recita preparata nei mesi precedenti. Sul palco si susseguivano i vari settori dell’Azione Cattolica che in quegli anni nella nostra vallata era particolarmente attiva. I giovani dell’oratorio maschile insieme agli adulti presentavano scenette più impegnative che suscitavano scroscianti applausi al termine di ogni atto. Tra gli “attori” di allora anche mio fratello Giancarlo, mentre mia sorella Olga faceva parte del coro, che con canti sacri e popolari esprimeva gli auguri a Don Giuseppe. In quanto cultore sopraffino della musica apprezzava le varie “performances” delle sue ragazze. Tutta la mia famiglia era impegnata a vario titolo per la festa di marzo: il papà predisponeva in panificio una treccia particolare di pane, che poi adornavamo con nastri rossi e spighe dorate. Il pane, simbolo dell’Eucaristia, era il nostro dono per Don Giuseppe. La mamma era specializzata nella preparazione dei tortelli con l’uvetta. Mi sembra ancora di sentirne il profumo mentre li friggeva nel tardo pomeriggio di quel giorno di festa. Li completava tuffandoli nello zucchero tradizionale che con i suoi bianchi granelli li rendeva particolarmente croccanti e graditi al palato nostro…… ma anche di tutto il vicinato! Di quegli anni ho un altro ricordo profumato, quello dei fiori che noi chiamavamo di S. Giuseppe. Le siepi all’interno del giardino del nostro oratorio – probabilmente si trattava di una variante di olea fragrans – presentavano a marzo una delicata fioritura a piccoli grappoli, bianchi e profumati, simili, in piccolo, al noto giglio comparso sul bastone del santo protettore. I ricordi nostalgici di quel tempo e dello spaccato di quel tipo di società operosa e impegnata segnalano l’attuale diversità in tutti i nostri comportamenti, a prescindere dalla pandemia. Attorno a figure carismatiche religiose o non le persone crescevano – non solo in senso fisico – arricchendosi di quei valori basilari utili alla vita successiva. Ora dovremmo continuare a implorare S. Giuseppe “uomo giusto”, disponibile ad accogliere la volontà di Dio, per ottenere il suo benedicente aiuto e la sua intercessione, in particolare a favore delle giovani generazioni.

fiori4PRIMULE FUCSIA

La mattina del 15 marzo accompagno mia sorella al Centro Vaccinale dell’Ospedale di Circolo di Varese – ben segnalato dalle note primule fucsia – per la seconda inoculazione del vaccino anti-Covid 19. Incontriamo persone accoglienti e sorridenti che ci indicano e ci accompagnano nei vari passaggi. Qualche momento di confusione è tuttavia inevitabile, in fondo la macchina non è ancora ben rodata e l’organizzazione di un tal servizio non è una bazzecola. L’anamnesi per esempio è giusto che venga inserita durante il colloquio iniziale, quello che precede la prima somministrazione. Peccato che al momento del secondo colloquio – di per sé più rapido – non la si ritrovi. Forse non era stata salvata. Ma è tutto comprensibile, ripeto, soprattutto ai miei occhi, ovvero di chi ha lavorato per anni presso lo stesso Ente. In un momento pandemico coordinare moltissime pedine che devono interfacciarsi anche con l’informatica non è davvero cosa di poco conto. Lo capiscono bene i vaccinandi, persone con tante primavere alle spalle, che si comportano da pazienti nel vero senso della parola. Ho esaminato il loro scrupoloso silenzio, direi quasi orante, nella grande sala post vaccino, durante il periodo di osservazione di 15 minuti. Nessuna parola inutile o fuori luogo, solo rispettosa attenzione all’ambiente, alle persone e agli avvenimenti. Sempre nel silenzio sembrava di percepire una certa gratitudine nei confronti dell’organizzazione. Tornando all’anamnesi la faccenda si fa ancor più interessante in quanto qualche giorno prima della prima dose, una gentile persona di Regione Lombardia chiede telefonicamente conferma dell’SMS ricevuto per l’appuntamento. In tale circostanza consiglia di portare solo la Tessera Sanitaria, in quanto non sono necessari i fogli anamnestici poiché tutto è contenuto nella Tessera stessa. Nel dubbio io disobbedisco e predispongo il cartaceo dell’anamnesi. Per fortuna! La storia di questi viaggi tra le primule si conclude con un’altra “solerte attenzione” da parte di Regione Lombardia. Il 15 marzo alle ore 18:39 (sic!) giunge un SMS che così recita: “Caro cittadino nato il 15/3/2021 (sic!) Regione Lombardia le ricorda di presentarsi il 15/3/2021 ore 9:25 presso il Centro vaccinale di Via Lazio – Varese, per la vaccinazione anti – COVID 19 con il numero di richiesta adesione 888……la aspettiamo”. Ogni commento è superfluo, anche se, ripeto, il tutto è ancora comprensibile. Se non fossimo in un momento tragico, sarebbe tuttavia quasi comico! Forse il futuro cambiamento della piattaforma informatica previsto a breve, renderà più agevole ogni passaggio. Con la speranza per ciascuno che sta “maledetta primavera” come cantava Loretta Goggi a S. Remo nel 1981, possa trasformarsi in “benedetta primavera” apportatrice di benessere fisico, psichico, sociale. E allora anche noi tutti potremo riveder le stelle!

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