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Società

IL CARTELLO

GIOIA GENTILE - 27/05/2021

signorineNel centro vaccinale di Frattamaggiore (Napoli) giorni fa è comparso un cartello che è stato ripreso da tutti i media: IN QUESTI AMBULATORI NON ESISTONO “SIGNORINE”. Finalmente qualcuno si è svegliato! è stata la mia prima reazione. Però non avevo capito quale motivazione ci fosse dietro, finché, guardando più attentamente la foto del cartello, non ho visto, scritta a mano, la frase “ma dottoresse”. Allora è stato tutto chiaro: le persone che si recavano al centro per sottoporsi alla vaccinazione si rivolgevano ai medici chiamando dottore gli uomini e signorina le donne. Dimostrandosi, così, doppiamente scortesi, anzi, per dire le cose proprio come stanno, doppiamente maschilisti.

Anzitutto il sostantivo in questione non è un grazioso diminutivo – a meno che non sia rivolto ad una bambina che dimostra più della sua età -, ma uno sminuente: sottintende che la donna non ha una sua dignità fino a che l’uomo che la sposa non gliela conferisce, elevandola al rango di signora. Però, in ossequio al politicamente corretto, tutti ormai si sentono in dovere di declinare i nomi plurali sia al maschile che al femminile oppure utilizzano il terrificante asterisco. Così, dopo sindaca, assessora e architetta, dobbiamo ascoltare anche “i sindaci e le sindache” “gli assessori e le assessore”… o, peggio, leggere sindac* – perché ognuno completi a suo piacimento. Un’ipocrisia tanto più fastidiosa se accostata a quel signorina ancora duro a morire. Avete mai sentito chiamare signorino un uomo non sposato? Oppure chiedergli, se lo si è appena conosciuto: signore o signorino? Come fino a poco tempo fa si faceva con le donne e, per fortuna, si fa sempre meno. Forse i continui richiami alla riservatezza hanno sortito almeno questo effetto.

Il secondo motivo per il quale ritengo offensivo rivolgersi ad una donna in quella forma dipende dal contesto: se le persone con cui si ha a che fare sono tutte medici, chiamare signorina un medico di genere femminile significa che non le si riconosce – inconsapevolmente, forse – la preparazione, la competenza, la capacità di svolgere la sua professione solo perché è una donna. E il fatto che tale convinzione sia inconsapevole non è un’attenuante: vuol dire che è profondamente radicata in una mentalità dura a morire.

Non voglio difendere l’abitudine di rivolgersi ad una persona con un titolo – chiamerei tutti signore e signora, indipendentemente dal ruolo che ricoprono -, ma non sopporto la discriminazione, che in casi come questo trovo evidente, mentre non mi sembra discriminatorio chiamare sindaco o ministro una donna e non proverei fastidio se le dottoresse di quel centro vaccinale fossero chiamate dottore.

Nel medioevo – i secoli bui? – si usavano solo gli appellativi di madonna e messere: mai trovato in uno scritto dell’epoca il termine madonnina. Che cosa ci ha fatto regredire?

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