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Cultura

ELENA VS PENELOPE

LIVIO GHIRINGHELLI - 22/07/2022

elenapenelopeElena, la donna in assoluto più bella e pericolosa, Penelope, sposa perfetta e fedele sono al contempo nella storia del mito e dell’umanità figure chiave nella cultura europea, nel significare simbolicamente la potenza distruttiva del desiderio, dell’eros, del sesso e per altra via la fedeltà e la devozione nel matrimonio lungo il corso di vent’anni di pazienza e nostalgia, in attesa del ritorno d’Ulisse dalla guerra troiana.

Sono due figure distinte rispetto al poemetto composto nell’età arcaica della Grecia (settimo secolo a.C.) da Semonide di Samo, in cui compare tutta una serie di stereotipi misogini. I diversi tipi di creature femminili vi sono tutti riconducibili ad animali o elementi del creato in chiave negativa: ora la donna è sporca e simile alla scrofa setolosa, oppure ha la natura della volpe per astuzia e malvagità, oppure è curiosa e solo innamorata del pettegolezzo o volubile partecipe della natura del mare in continua mutazione oppure pigra siede eternamente accanto al fuoco.

Colpisce soprattutto la smania di sesso che accoglie gli uomini in modo indifferenziato. Si salva la donna ape, che Zeus ha voluto a cura della casa e dei figli, che ama il marito ed è riamata. È luogo comune quindi dell’umanità che il gynaikèion genos è una sventura procurata dagli dei all’umanità, chiaro indizio di una società caratterizzata dalla sottomissione della donna. Solo che Elena e Penelope rivelano maggiore complessità chiaroscurale ed i racconti che le riguardano contengono contraddizioni interne. I personaggi non rimangono semplici stereotipi. E accanto ad Elena e Penelope, ecco Ifigenia, vittima innocente del padre Agamennone in Aulide, sacrificata al momento di partire per Troica con venti auspicati propizi; ecco Antigone, la ribelle solitaria nel nome del diritto e della morale; Ecuba, la regina di Troia dolente, che piange disperata sul nipote Astianatte, precipitato dai Greci giù dalle mura di Troia; Cassandra, la profetessa visionaria non creduta; Lisistrata, nella coraggiosa rivolta contro la guerra, eredità vantata dai maschi.

Per non dire di Andromeda, uscita inopinatamente da casa (come una pazza) per correre incontro al marito Ettore stimato in pericolo di vita (unica nota stonata nel quadretto familiare felice quella di lui: “Torna alla tua occupazione, alla guerra penseranno gli uomini”: polemos àndressi melèsei, io più di ogni altro).

Nel canto terzo dell’Iliade Elena trova sulle mura di Troia gli anziani della città riuniti in discussione, vi è stata invitata da Iride, messaggera dell’Olimpo, ad assistere al duello tra Paride e Menelao; avverte al contempo il rimpianto nostalgico dello sposo abbandonato a Sparta e il pettegolezzo ostile di chi la ritiene colpevole della rovina della città, ma Priamo interviene ad alta voce nei toni da padre a figlia e la esonera da qualunque responsabilità per il tradimento: la colpa degli dei, che hanno voluto tante sofferenze.

Circondata dall’odio è però amata da Priamo. Nel frattempo Afrodite soccorre l’amante Paride, suo favorito, avvolgendolo in una nebbia prodigiosa e lo salva da Menelao, per trasferirlo alla camera da letto: Elena insulta Paride, rabbiosa per la sua viltà, ma si sdraia accanto al seduttore, vittima di Eros. Questo, Dio del desiderio implacabile, non lascia scampo.

Epperò più tardi nelle Troiane, andate in scena nel 415 a.C., Euripide, grazie alle accuse di Ecuba, smantella ogni giustificazione di Elena per il tradimento verso Menelao: assurdo è il giudizio di Paride sulle tre divinità (Atena, Era e Cipride); gli uomini fanno una sciocchezza e la chiamano Afrodite; “appena hai visto Paride, splendido nelle sue vesti esotiche e scintillante di ori, sei impazzita”. Non vale a riscontro che nell’Odissea Penelope trovi tra i pretendenti Anfinomo gradito per i suoi discorsi e dal cuore gentile. Né può valere a travolgere un giudizio positivo su di lei il tardivo riconoscimento di Odisseo al ritorno dall’esilio. L’immagine idealizzata di Penelope sarà eredità cristiana grazie al Contro Gioviniano di SanGirolamo. Dante relegherà Elena nel cerchio dei lussuriosi: Penelope per il Petrarca sarà la “casta mogliera”, per il Boccaccio l’una simbolo di lascivia, la seconda “esempio incorruttibile, santissimo ed eterno, di virtù femminile”.

Sullo sfondo l’attivismo erotico di Zeus e l’antropomorfismo degli dei pagani.

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