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Chiesa

ODIATO SENZA RAGIONE

MASSIMO CRESPI - 02/06/2012

Se non avessi fatto in mezzo a loro opere che nessun altro mai ha fatto, non avrebbero alcun peccato; ora invece hanno visto e hanno odiato me e il Padre mio. Questo perché si adempisse la parola scritta nella loro Legge: Mi hanno odiato senza ragione. Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio. (Giovanni 15, 24-27)

 

Gesù domanda di fare due cose: vedere ciò che egli ha attuato, l’opera da lui svolta, poi di ragionarci; infatti colui il quale, pur avendo vistolo o conosciutolo operare, ed operare come “nessun altro ha mai fatto”, lo odia, lo fa “senza ragione”. È lo sforzo del ragionare, del riflettere, che Gesù pretende da chi viene chiamato a stimarne l’azione. Valutarlo non porta che ad amarlo, nello stesso modo di chi vuole bene a qualcuno per causa del suo provato altruismo, della sua provata dedizione e del suo impegno disinteressato nei confronti di ciascuno. Ma se si danno giudizi nei confronti del Nazareno sul piano dell’istinto, della pancia, allora si rischia di sbagliare; così, se non lo si ama naturalmente e spontaneamente, lo si può odiare per impulso, presi dai propri nervi, furenti contro l’uomo che ci insegna le cose… Ma chi pretende d’essere costui? Viene ad insegnare a noi cosa dobbiamo fare, ma dico! Crede di sapere chi siamo, ma per favore!

Toccati nelle corde della fierezza, della presunzione di superiorità, noi come gli individui del passato lasciamo che sia l’uomo dalla cintola in giù ad esprimersi, definendo ostilmente l’evento messianico. Basta ragionare, non occorre nemmeno confidare nel Signore per apprezzarne la statura, l’onestà. Quale enorme risorsa possediamo: la nostra capacità di raziocinio; con essa semplicemente possiamo cogliere la verità. Altra cosa la fede, con la quale possiamo oltrepassare le frontiere della mente e confidare nella verità salvatrice, dopo averla colta razionalmente; tuttavia non c’è contrapposizione nel dualismo fede-ragione perché l’una non è per l’eliminazione dell’altra, bensì per l’unione, finalizzata ad una comprensione globale del senso religioso. Dentro questa dinamica non possiamo però dimenticare la fase successiva che trasforma attraverso l’opera delle mani di ciascuno quel “fatto di Dio”, quella realtà cui abbiamo dato senso. Sappiamo bene cosa resterà nel Paradiso dei fedeli: la carità. Tolta la speranza assieme alla fede, non più necessarie lì dove godremo dell’eternità beata, permarrà la carità con cui rapportarci perennemente con i fratelli celesti; lo stesso obiettivo quaggiù, dove è l’amore nella carità a concludere la verità salvatrice della persona, realizzando del tutto la sua missione. Gesù disse: “Tutto è compiuto!”. E, chinato il capo, spirò (Gv 19, 30).

Ma facciamo un passo indietro: come è possibile ritenere che ciò che Gesù compie è quanto solamente Dio può fare? È scritto: “Se non avessi fatto in mezzo a loro opere che nessun altro mai ha fatto”; nessun uomo può compiere le opere del Signore Gesù Cristo, ma non perché egli è l’autore di miracoli grandiosi, impossibili per chiunque. Nessuno può salvare l’uomo nel modo in cui l’ha fatto lui. Chi potrebbe, trovandosi in una posizione di supremazia assoluta, di assoluta autorità riconosciutagli da tutti, scegliere l’anonimato facendosi l’ultimo dei galilei; scegliere l’atroce sofferenza facendosi insultare, torturare e trafiggere? E scegliere d’essere odiato dal mondo per aver fatto tutto ciò che ha fatto? Solamente chi comprende la grandezza dell’amore che salva, perché ne è l’autore, e chi sa quale sia l’ultima destinazione dei figli di Dio Padre.

È scritto poi che non ci sarebbe nessun peccato se Cristo non avesse mostrato la sua divinità a coloro che lo odiano: “Se non avessi fatto in mezzo a loro opere che nessun altro mai ha fatto, non avrebbero alcun peccato; ora invece hanno visto e hanno odiato me e il Padre mio”; cioè, gli si potrebbe volere male, senza peccato, ove non lo si conoscesse, poiché è nella nostra natura la strenua difesa, agguerrita per paura dell’incognito. Però colui che possiede l’esperienza di Dio, se lo odia lo fa soltanto per invidia, non sopportando la sua bontà la quale gli rivela la propria malvagità; non sopportando, se vorrà salvarsi, di dover rendere testimonianza della propria debolezza a confronto dell’onnipotenza divina. Se lo si conosce non c’è nessun motivo per volere male a Gesù, tranne l’esserne invidiosi, senza ragione.

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