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Chiesa

IO VI RISTORERÒ

MASSIMO CRESPI - 07/07/2012

Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.
Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero”.
(Matteo (11, 27-30)

 Quanti ristoranti, posti pubblici conosciamo, dove si mangia, si beve, ci si fa compagnia allegramente e ricreandoci con l’energia che ci occorre per continuare a vivere senza esaurirci, debilitarci; ritrovando le forze corporee e mentali, l’animo giusto per affrontare nuovi giorni di fatica, di lavoro. Ristorare significa però rinvigorire, ritemprare e confortare: non sempre troviamo luoghi dove venire ristorati in questo modo, dove i gestori si occupano del conforto degli avventori, cioè di garantire loro sostegno o sollievo dalle loro debolezze e difficoltà anche d’ordine relazionale e psicologico oltre che fisico. Relazionarsi col cliente di un locale che mette a disposizione la sala, la cucina, le stanze per riposarsi in maniera da sostenere del tutto chi necessita di cure non è semplice; bisogna essere del mestiere e preparati, disponibili, sensibili… Insomma, quanti ristoranti, pizzerie, trattorie, tavole calde e locande, da questo punto di vista non ristorano bene e talvolta per niente, e spesso nemmeno soddisfano le richieste e le esigenze più banali quali il buon piatto o la sosta tranquilla…
L’etimologia del participio ristorante è “ricostituente” e “ciò che rimette a nuovo”. C’è un posto speciale e che si trova facilmente dentro il quale c’è il migliore dei ristoratori, il gran ristoratore per eccellenza: si chiama Gesù, un uomo capace di rimetterci in sesto, farci nuovi ricostituendo la nostra bellezza d’origine e l’unicità che ci contraddistingue. Egli ci accoglie presso la sua casa, come tutti coloro che faticano oppressi dalle cose del mondo, oppressi dal peccato. Offre cose del suo mondo, del suo posto di ristoro, sistemandoci sempre con pensione completa, trattandoci come se fossimo ospiti di prime categorie e rappresentanti di riguardo; chiaro, pochi tappeti, nessun facchinaggio o quasi, comfort appena sufficiente, strutture consumate e demodè. Però cibo speciale e vini d’eccezione… Possiamo gradire, no? Si tratta dell’offerta della Chiesa. Ma attenti, per tenerla dovremo contraccambiare perlomeno offrendo qualcosa di fresco per contrastare la canicola, d’estate: “E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa” (Mt 10, 42). Questo è il giogo di cui leggiamo: ricambiare, corrispondere nel dare, nel donarsi levandosi l’amarezza del cuore ed assumendo la dolcezza, divenendo miti: “Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero”. Del resto, non è proprio l’attenzione e il riguardo nei nostri confronti che ricordiamo piacevolmente quando lasciamo la casa delle nostre vacanze? Così, il giogo del servizio per gli oppressi si definisce dolce ed affatto pesante poiché garantisce la mitezza, la leggerezza dell’animo, non più sottoposto a tensioni e privazioni, crisi di qualsiasi natura, bensì in pace e serenità continua. Dove la si trova allora quella casa salutare ed oltremodo ristorante? Dove non si tratti d’essere soltanto serviti, ma di servire contemporaneamente l’uomo oppresso, che soffre. È il luogo del servizio, del darsi in libertà, allegramente, ben sapendo che si riceve di più se lo si vuole. Eppure tra le centinaia di persone che si danno nella Chiesa, per esempio, non mancano le crisi, i depressi, i tesi. Cosa non funziona, cosa manca? Qualcosa di semplice: la coscienza dei piccoli che capiscono cosa ha valore nel “gioco” della vita, nel gioco del dare e del ricevere: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11, 25); conta affidarsi con fiducia al proprio papà, null’altro. Gesù fanciullo dice ai suoi parenti che l’avevano cercato per tre giorni: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2, 49). La certezza che tutto dipende dalla misericordia del Padre è la chiave per trovare ristoro; ovunque noi siamo, occupiamoci delle cose del Padre nostro.

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