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Cultura

I “LUOGHI DI UN’AMICIZIA”

ALBERTO PEDROLI - 19/10/2012

La Galleria Vittorio Emanuele a Milano; la cima innevata della Grigna; i campi della tenuta della Zelata, sulle rive del Ticino; il Lago Maggiore inquadrato da uno dei finestroni liberty dell’ex Hotel Verbania a Luino; ed ancora campi, sentieri e fossati tra l’ultima periferia milanese e l’abbazia di Chiaravalle: sono alcune delle suggestive immagini fotografiche di Carlo Meazza che corredano il volume Luoghi di un’amicizia edito a cura del Centro Internazionale Insubrico e recentemente presentato nella sede della Provincia a Villa Recalcati.

Ma cosa hanno in comune luoghi apparentemente così diversi e contrastanti, dove l’obiettivo della macchina fotografica indugia ora sul brulichio della metropoli, ora sulla tranquilla serenità del lago? Amicizia  è la parola chiave che lega tra loro questi luoghi e l’amicizia è quella tra Antonia Pozzi e Vittorio Sereni, negli anni tra il 1933 ed il 1938 in cui i due si frequentarono, studenti entrambi di Lettere all’Università – ora Statale, allora Regia – di Milano ed entrambi allievi del filosofo Antonio Banfi con il quale si laurearono, lei con una tesi su Flaubert, lui su Gozzano. Un rapporto di cui non conosciamo l’effettivo “grado sentimentale” ma certamente plasmato dalla acuta sensibilità di entrambi verso la poesia: una sensibilità che per Antonia riuscì ad esprimersi in più di trecento poesie, lettere e diari prima della morte per suicidio a Chiaravalle a soli ventisei anni, nel 1938, e che per Sereni troverà consacrazione più tardi, a partire da Frontiere, pubblicato nel 1941 e che lo farà diventare uno dei maggiori esponenti di quella eterogenea corrente letteraria che va sotto il nome di Linea Lombarda.

Si diceva dei luoghi, e sono quelli dove Antonia e Vittorio sono nati, cresciuti ed hanno condiviso la pur breve amicizia a Milano come il Corso di Porta Romana, dove aveva sede allora l’Università prima del suo trasferimento in via Festa del Perdono o il Baccanino, il bar di Piazza sant’Alessandro frequentato dagli allievi di Banfi. Meazza li ripropone nei suoi scatti ma la sua non è mai una semplice trasposizione od una semplice traduzione in fotografia della poesia: come acutamente osserva nella prefazione Fulvio Papi, anch’egli discepolo di Banfi, “…la fotografia può avere numerose qualità simboliche, una fra tutte il far vedere quello che hai sempre visto senza capire niente”. Così Meazza, come ha lui stesso spiegato a Villa Recalcati, esprime in fotografia ciò che lui, non un altro, “sente” anche se questo modo di sentire finisce con l’accomunarlo ai due poeti di cui segue le tracce nei loro luoghi di appartenenza.

Il volume non è solo un omaggio alla poesia di due grandi interpreti del Novecento, è anche l’occasione per riflettere su quella tradizione filosofica del razionalismo critico prettamente milanese e lombardo che ebbe in Banfi uno dei suoi epigoni e che partendo nel ‘700 da Beccaria e dai fratelli Verri, attraverso Romagnosi e Cattaneo arriva sino all’epoca contemporanea con gli allievi di Banfi come Remo Cantoni e Enzo Paci, anch’essi docenti di filosofia, morale il primo, teoretica il secondo, all’Università Statale di Milano sino agli anni ’70 del Novecento. Non a caso il volume entra a pieno titolo nella collana del Centro internazionale dell’Università dell’Insubria intitolato a Carlo Cattaneo ed a Giulio Preti, di cui è direttore Fabio Minazzi, a sua volta allievo di Gejmonat e Dal Pra, altri pensatori della “scuola di Milano” con Cantoni e Paci.

Gli intrecci qui si fanno molteplici ma gettano anche un’ombra inquietante sui limiti di questa concezione filosofica. Non solo Antonia Pozzi morì suicida nel 1938, ma anche Cantoni, di cui Pozzi si era innamorata di un amore non corrisposto, pose fine deliberatamente ai suoi giorni sia pure molti anni dopo, nel 1978. Stesso destino era toccato a Gianluigi Manzi, altro allievo di Banfi e che Antonia ricorda nel suo accorato congedo a Vittorio Sereni a margine del foglio su cui aveva ricopiato, pochi mesi prima di morire, la sua poesia Diana.

Una sorta di “religione civile”, dunque, imperniata sul lavoro (anche il pensiero è lavoro) e per nulla facile esigendo una totale dedizione ad un impegno critico nei confronti della realtà dove i termini “peccato” e “perdono” perdono di significato. Alla tragica conclusione della vita di Antonia contribuirono certamente anche altri fattori di ordine sia personale tra cui le delusioni amorose e l’incomprensione familiare, sia sociale, come la consapevolezza dei guasti che il fascismo stava portando con sé sino al baratro di una guerra che inghiottì lo stesso Sereni, per due anni prigioniero degli Alleati in Algeria e Marocco, un’esperienza che condizionerà anche la sua poetica successiva.

Ci resta la testimonianza della loro poesia, del loro sguardo attento e disincantato sulla realtà, della disperata ricerca di un significato.

Le foto di Carlo Meazza©  sono tratte dal volume “Luoghi di un’amicizia” per gentile concessione dell’Autore

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