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Opinioni

SE NON SI CREDE NEI VALORI

ROBERTO GERVASINI - 08/11/2012

Il tricolore della Repubblica Romana

Come dare senso a una cerimonia di commemorazione, davanti ad una lapide con un elenco largamente incompleto di caduti del Risorgimento, senza cadere nella retorica? Certo, si ritorna ogni anno per esser ponte della memoria storica, per rendere omaggio, per cantare l’inno di Mameli. Ma quali sono i valori nei quali oggi credere? Cosa ci ha trasmesso il Risorgimento con tutte le sue così diverse componenti: monarchiche, unitarie, democratiche, repubblicane, federaliste, neoguelfe, utopiche, protosocialiste?

Il nazionalismo costruito sul concetto di sangue e territorio, con un nemico da sconfiggere, nato in Italia con l’epopea napoleonica e motore per molti combattenti di allora non può essere oggi un nostro valore.

L’italiano è il popolo più longevo forse perché ha il sangue più mischiato. Non siamo razza, siamo semmai i più bastardi. La diversità è una ricchezza. Non siamo fratelli di sangue di Scipione l’africano, di Alberto da Giussano, di Francesco Ferrucci o di Balilla.

È bene allora parlare di patriottismo, mettendo l’accento sui valori di libertà, di dignità, di senso di appartenenza, di patto sociale, di solidarietà, di diritti e di doveri; valori ben enunciati nella nostra Costituzione e certamente vivi nella mente e nel cuore di tutti i protagonisti del nostro Risorgimento.

Per capire quanto mai attuali siano i valori del Risorgimento, basterebbe rileggersi la Costituzione della Repubblica Romana del 1849, di Mazzini, Saffi ed Armellini, punto più alto del Risorgimento democratico e repubblicano, per noi varesini così ricca di memorie, di Daverio, di Dandolo, di Morosini. Già l’articolo 1 “La sovranità è per diritto eterno nel popolo” è indicativo. Articolo questo che viene traslato nell’articolo 1 della nostra Costituzione, cento anni dopo: “La sovranità appartiene al popolo”.

Qui c’è tutto Mazzini. Giuseppe Mazzini ed i valori della Rivoluzione francese li ritroviamo di nuovo all’articolo 2 coi diritti inviolabili dell’uomo e l’adempimento di doveri inderogabili di solidarietà politica economica e sociale. Stessi principi, stesso numero di articolo costituzionale.

Come non pensare a Carlo Cattaneo, ai neoguelfi fino al 1848, a Giuseppe Ferrari ancora all’articolo 5 della nostra Costituzione: “La repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo”.

Come non pensare a Cavour all’articolo 7: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”. Così come all’articolo 8: “ Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge”.

Come non pensare a Giuseppe Garibaldi all’articolo 52: “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino” con l’esercito popolare. Come non pensare all’attualità di Garibaldi a cavallo. Alla statua, in largo Cairoli a Milano durante l’occupazione tedesca del 1944, i milanesi, non privi di spirito appesero un cartello: “Pepin, vegn gio’ de lì ch’in anmo’ chi’” (Peppino vieni giù di li che sono ancora qui). Attuale anche nel 2012.

Certo in una Costituzione repubblicana diventa impossibile trovare Carlo Alberto e lo Statuto, così come Vittorio Emanuele II, il re galantuomo. Galantuomo perché lo Statuto mantenne. Anche il repubblicano Garibaldi si convinse che senza i Savoia non si sarebbe potuta unificare l’Italia. Ma poi, a Napoli, non dette retta a…Cattaneo.

Difendere la nostra Costituzione significa difendere i valori del nostro Risorgimento, la nostra storia.

La nostra società può esser pensata come una macchina che non va da sola; ci sono dei valori, degli obiettivi da raggiungere e non va avanti da sola, la macchina, ha bisogno di energia, di combustibile.

Il nostro ponte di memoria, il nostro studio, il nostro impegno, il nostro spirito di solidarietà ed appartenenza ed il nostro fare sono il combustibile per poter andare avanti. Questo il senso vero di una commemorazione.

Viva l’Italia.

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