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Cultura

NELLA STORIA E NELLA VITA

EDOARDO ZIN - 04/12/2015

Giotto, Ingresso di Gesù a Gerusalemme, Padova Cappella degli Scrovegni

Giotto, Ingresso di Gesù a Gerusalemme, Padova Cappella degli Scrovegni

“Che strambi siete voi ambrosiani: in Avvento ascoltate il Vangelo che narra l’ingresso di Gesù a Gerusalemme!”, mi dice l’amico venuto a salutarmi.

Tra un sorso di caffè bollente e l’altro, cerco di spiegargli che l’Avvento ambrosiano prepara sì alla memoria della nascita del Figlio di Dio a Betlemme, ma piuttosto tende a preparare i fedeli alla venuta gloriosa del Signore alla fine dei tempi. Il Natale è impregnato della capacità di attendere, della memoria che conduce alla speranza ed è l’intreccio tra attesa e memoria che conduce al mistero pasquale, cuore della nostra fede.

Purtroppo, la divaricazione tra il Natale e la Pasqua svela la tiepidezza della nostra fede e il pallore della nostra speranza, camuffate dalla baldoria di cui si riempiono le nostre strade con sbilenche luminarie, mercatini e fiaccolate, e finti zampognari; i luoghi della convivialità diventano spazi per grandi abbuffate, le finestre diventano palestra di roccia per quel rubizzo, giocondo e svampito Babbo Natale, le nostre case si incupiscono con addobbi che più che il Mistero richiamano il carnevale.

“Sì, d’accordo. Ma cosa c’entra l’ingresso di Gesù a Gerusalemme con il Natale?”, replica l’amico, che nel frattempo si dimostra interessato al mio conversare.

“C’entra, c’entra. Ascolta: Gesù entra a Gerusalemme, la città santa, a dorso di un somaro. Gli abitanti lo salutano come colui che deve venire. La chiesa oggi lo saluta allo stesso modo. La città è abitata da uomini, è il luogo dell’incontro, dello stare assieme. Anche oggi quando si entra in una città, magari sconosciuta, si entra nella storia, nella cultura di quella città. Cioè, si entra nel tempo. Così è per Gesù: entrando in Gerusalemme, egli entra nel tempo che si dipana anche dopo la sua nascita a Betlemme.

“Vedi, anche noi oggi viviamo in una città e siamo immersi in un tempo. Come cristiani siamo semplici, umili testimoni, attori nella vita di una città. Come tali dobbiamo costruire la città con quei valori perenni che non siano in contraddizione con quelli che a parole proclamiamo. Dobbiamo riempire le nostre lampade dell’olio necessario per rendere la nostra testimonianza efficace”.

Il mio amico mi interrompe: “Ma quali valori? Non vedi che ci vogliono annientare? Lo sai che nella scuola di mio figlio, le maestre si sono rifiutate di allestire il presepio con il pretesto di non offendere la coscienza dei non cristiani?…”.

“È una vecchia storia”, riprendo io. “I valori cristiani si riassumano in uno solo: l’amore verso Dio e verso il prossimo. I valori tradizionali di un popolo vanno salvati, ma non enfatizzati. Essi non devono essere custoditi in un museo del passato, ma vanno spesi nel mercato di ogni giorno. Ci sono valori da salvare e promuovere, altri da superare e eliminare. Il presepio, come il crocifisso, sono segni: l’uno di Dio che si fa uomo e viene a vivere in mezzo a noi, l’altro di sofferenza estrema che non può offendere nessuno. Se qualcuno strumentalizza questi simboli per farne una convivenza carica di sentimentalismo o, peggio ancora, per salvaguardare l’identità di un popolo di cui lui stesso, con il suo esempio di vita, è il primo calunniatore, non prende su di sé il messaggio cristiano per arricchire la città, ma la rende ancora più barbara”.

Dal volto dell’amico, che si fa meno aspro, comprendo che segue il mio argomentare. Continuo: “Gesù, entrando in Gerusalemme, entra nel tempo, anche in quello drammatico, irrazionale, terrificante d’oggi e ci invita a non distogliere la nostra attenzione sulla quotidianità dove ‘non solo il poeta canta, ma il povero geme’. È in questo mondo e in questo tempo che i cristiani devono fare i conti, con quest’acqua in cui nuotano i pesci del terrorismo, della mafia, della corruzione, in questo fuoco in cui si consumano perfino le nostre istituzioni. Impegno dei cristiani è quello di battersi per una convivenza il più possibile purificata dalle scorie che la stanno appesantendo. La paura per l’ignoto può generare timore irrazionale, rincorsa verso miti assurdi, individualismo indifferente, edonismo egoista. Questo, viceversa, è il tempo del discernimento, della solidarietà, della percezione dell’altro in vista del bene comune”.

“Forse hai ragione tu – riprende l’amico –, è tempo che i cristiani si uniscano, serrino le fila e combattano a presidio delle città indifese!”

“Sì – rispondo io – purché lo facciano con mitezza. Gesù entra in Gerusalemme in groppa a un somaro, non di un fiero cavallo bianco, simbolo di potenza. È l’asino che tira la carretta in silenzio, senza farsi vedere in televisione… In Italia gli asini sono ormai quasi scomparsi. Eppure c’è bisogno di qualche asino che sappia dare, senza chiedere nulla in cambio! Nella nostra società della velocità e voracità, la lentezza del somaro è una forma di resistenza alla superficialità e al successo facile e apparente. Dobbiamo abbandonare la passionalità e certe forme di fondamentalismo radicale che alberga anche tra noi cristiani e acquistare una maggiore conoscenza del momento, una maggiore competenza e attenzione per la storia di oggi…

Aspetta un po’. Vado in cerca di che cosa dice in proposito Benedetto XVI”.

Dopo poco ritorno con il secondo volume di “Gesù di Nazareth”. Lo sfoglio e a pagina 15 trovo scritto ciò che leggo all’amico: “Il potere [di Gesù] è di carattere diverso [da quello della violenza, dell’insurrezione militare contro Roma]: è nelle povertà di Dio, nella pace di Dio, che Egli individua l’unico potere salvifico”.

Un’altra tazzina di caffè e accompagno l’amico sulla soglia. Nell’aria senza vento, le montagne sostengono, come un baldacchino, il cielo straordinariamente rosa.

“Buon Natale!”, mi dice abbracciandomi l’amico.

“Buon Natale a te e ai tuoi, nell’attesa del Signore che viene”, gli rispondo.

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