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Divagando

OSSOLA, MORO E IL PCI

AMBROGIO VAGHI - 28/01/2012

A lungo “visto da vicino” è stato per me il Sindaco Mario Ossola. Per tutti i quindici anni ed oltre della sua sindacatura (brutta parola, vero?) della città di Varese. Certamente il Sindaco più longevo del dopoguerra. Quando sostituì lo scomparso avvocato Lino Oldrini si era già “fatte le ossa” di pubblico amministratore. Era infatti entrato nel consiglio comunale nelle file della Democrazia Cristiana con le prime elezioni del 1946. Operò a cavallo degli anni ’60 e ’70 nei due decenni ruggenti del “miracolo economico”. Di professione medico igienista specializzato in pneumologia, Ossola dirigeva il Consorzio Provinciale Antitubercolare e svolgeva consulenze per l’INAM e per qualche importante industria. Grande lavoratore, dimostrò immediatamente ottime doti organizzative, esplicate con rigore e col pieno sostegno del suo partito. Negli anni più bui per il nostro Paese si era schierato con le forze dell’antifascismo e della Resistenza. Aveva attivamente partecipato al colpo di mano, quasi una beffa, che portò alla liberazione del partigiano Marcello Novario prigioniero all’Ospedale di Circolo di Varese dove giaceva vigilato dai militi delle Brigate Nere. Nonostante questo comune passato di combattenti per la libertà del nostro Paese, i rapporti con me in Consiglio furono per qualche anno alquanto freddi. Reciproco rispetto e basta. In un solo caso questo rispetto veniva pubblicamente manifestato, verso il ragioniere Lanciotto Gigli, capo dell’opposizione comunista. Quando il Sindaco Ossola entrava nel salone Estense, si premurava di andare a salutare Gigli prima di dirigersi alla sua poltrona. Un omaggio all’uomo, all’età, al ruolo esercitato? Difficile da comprendersi.

Le divisioni ideologiche continuavano ad avere un grande peso. Più avanti quando sostituii nel ruolo di capogruppo consigliare Lanciotto Gigli ritiratosi per la tarda età, mi capitò di parlare con Ossola di come entrambi esercitavamo i rispettivi ruoli di maggioranza e di opposizione. Ossola, riferendosi alla contrapposta divisione politica, mi disse che tra noi vi era un baratro invalicabile che rendeva impossibile ogni collaborazione. Gli diedi una risposta che lo lasciò silenzioso. Gli dissi, pressappoco, che noi comunisti non avevamo l’obiettivo di creare a Varese una succursale dello Stato dei Soviet, né pensavo che neppure lui volesse creare una succursale dello Stato del Vaticano! Membri della stessa comunità, uomini rispettosi gli uni verso gli altri, dovevamo soltanto pensare ai marciapiedi (sì, ricordo bene, usai volutamente questa riduttiva espressione) e a quant’altro servisse a far vivere meglio i varesini. Su questo le divisioni mi sembravano del tutto inutili. Poi i rapporti cambiarono moltissimo. In più di una occasione il Sindaco si premurò di sentire in anticipo, in via molto riservata, il mio parere sugli argomenti di maggiore interesse. Non mi sono mai chiesto se questo avvenisse per appianare qualche contrasto interno al gruppo DC oppure per allargare il consenso su delibere di grande impegno. Sicuramente in tutto ciò il Sindaco dimostrava una ottima caratura politica.

Non mancavano certo i problemi per l’Amministrazione Comunale. Varese andava praticamente raddoppiando il numero degli abitanti dell’immediato dopoguerra. Uno sviluppo demografico dovuto soprattutto all’alto tasso immigratorio. L’economista Tagliacarne in uno studio commissionato dall’Unione delle Camere di Commercio aveva valutato in cinque milioni di lire di allora il costo sociale per l’inserimento di ogni nuovo immigrato. Necessità di case, di scuole, di posti letto in ospedale, di urbanizzazioni e di servizi. Si pensi soltanto agli edifici realizzati o ristrutturati in pochi anni per ospitare scuole dell’infanzia, elementari o medie nei rioni di Bizzozero, Belforte, San Fermo, Avigno, Masnago, Bobbiate, Casbeno, Bosto, Bustecche, in Viale Ippodromo ed in viale Aguggiari. Un impegno immane accompagnato dall’estensione dei servizi per una città che si espandeva in modo rapido quanto sconsiderato. Una corsa spasmodica del Comune per rincorrere le necessità immediate a scapito di una chiara visione d’insieme e di una mission del suo futuro sviluppo affidate ad un confuso, insufficiente, Piano Regolatore Generale. Una responsabilità da assegnare, ovviamente con pesi e misure diverse, a maggioranza e opposizioni.

La presenza in Giunta di socialisti a fianco della DC portò a successive revisioni del PRG con un ridimensionamento delle folli previsioni del numero di cittadini insediabili (oltre un milione, poi seicentomila, infine circa duecentomila) ma lasciò azzonamenti volumetrici tali da portare ad una dissipazione del territorio. Nel contempo si favorì la delocalizzazione di storiche industrie varesine: interi comparti produttivi ebbero in premio destinazioni residenziali o commerciali. Uno tra tutti, il triangolo Via Casula, Via Milano, via Adamoli dal quale scomparvero i mulini Marzoli e Massari, il Calzaturificio di Varese, la Tipografica Varese e l’officina del gas. Varese cessava di essere un equilibrato compendio di buone residenze e di comparti lavorativi, una città giardino con industrie di pregio anche nel centro, lasciate ben ai margini della Valle dell’Olona sia le concerie che la grande cartiera.

La Varese delle intraprendenti famiglie dei Cattaneo, dei Trolli, degli Aletti, degli Sterzi che avevano dato vita ad un meraviglioso comparto produttivo integrato fatto di concerie, di calzaturifici, di valigerie di fama nazionale vedeva liquidarsi lentamente il suo industrioso tessuto. Tra l’altro ricco anche di industrie metalmeccaniche di grande prestigio nell’aeronautica e nelle grandi carrozzerie. Quanto di questo declino è stato responsabilità di stanchi e rinunciatari eredi delle grandi famiglie imprenditoriali e quanto dei politici amministratori della città? Sta di fatto che, tramontati gli epigoni della grande industria, l’alba non ha visto sorgere nuovi leader di alto livello. Soltanto qualche famiglia di cementieri e di sabbiunatt, inclini a distruggere il nostro ambiente cavando sabbia e pietrisco da vendere in Svizzera.

Mario Ossola va ricordato anche per un ambizioso innovativo laboratorio politico-amministrativo rimasto purtroppo senza seguito. Si respirava il clima politico nazionale promosso dall’onorevole Aldo Moro per trovare punti di contatto anche coi comunisti al fine di risolvere al meglio i problemi del Paese dilaniato anche dal terrorismo. Il compromesso storico. A Varese all’interno del Consiglio Comunale si costituì una “maggioranza programmatica” estesa anche al gruppo del PCI. Mancavano due anni alla fine del mandato, i problemi cittadini erano tanti, i soldi sempre pochi. Promesse ed impegni verso gli elettori rischiavano di rimanere lettera morta. Questo l’obiettivo: scegliere tutti insieme un pacchetto di opere pubbliche urgenti effettivamente realizzabili prima della scadenza, con una maggioranza di volonterosi pronta a sostenere questo sforzo. Un grande tentativo di ampia collaborazione democratica cancellato violentemente, a Roma, dalla prigionia e dall’assassinio di Aldo Moro.

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