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Politica

L’IMPROBABILE LEGA SUD

VINCENZO CIARAFFA - 24/03/2017

salviniSul Corriere della Sera del 14 marzo scorso Aldo Cazzullo ha sostenuto, nella risposta data a un lettore, alcune cose sulle quali non siamo d’accordo, su due in modo particolare: «…La prima volta che un leader leghista si affacciò a Napoli era il 2001 – La verità è che prima o poi nascerà una Lega Sud». E no, caro Cazzullo, fu molto prima del 2001 che un leghista mise piede a Napoli. Veniva dalla Grecia, dalla Calcide precisamente, ed era un ecista (capo spedizione) che non appena sbarcò ai piedi delle colline del Vomero fece, grosso modo, questo discorso ai napoletani che a quei tempi non si chiamavano neppure così: «Guagliù, noi apparteniamo a una civiltà superiore e voi non siete un “niente”, per cui da oggi penserete come noi, mangerete come noi, vestirete come noi, parlerete come noi, vi chiamerete neapolitani e pure Magna Grecia». E da allora, infatti, fu tutto un magna-magna. Correva l’VIII secolo avanti Cristo.

Boutade a parte, riteniamo che nel dare per scontata la nascita di una Lega Sud, Cazzullo sia stato un po’ precipitoso e abbia omesso di considerare alcuni fattori. Nel Meridione, ad esempio, non esiste nessuno dei presupposti storici, economici e sociali che sono stati alla base della nascita della Lega Nord per l’indipendenza della Padania. Il movimento fondato da Umberto Bossi si qualificava come indipendentista e regionalista perché aveva nel programma la salvaguardia delle caratteristiche culturali ed economiche della Lombardia e di tutto il Nord, adottando come modelli ispiratori la Svizzera e la Germania.

Sebbene antistorico, il confuso modello bossiano di un Nord secesso da “Roma ladrona” fondava su di un’economia locale operosa e solida, cui la miopica dissennatezza di governi centrali scialacquatori e rapaci faceva oggettivamente da freno. Per tale ragione uno dei cavalli di battaglia della Lega fu la fine dello statalismo e la devoluzione, per poter gestire al Nord le ricchezze prodotte dal Nord. Questo spiega il successo iniziale del movimento tra i piccoli produttori e vasti strati popolari, non nella grande industria e ciò, come vedremo, per le medesime ragioni per cui la fine dello statalismo e la devoluzione non sarebbero visti di buon occhio al Sud.

 Se un’improbabile Repubblica del Nord avrebbe di che sostenersi economicamente e, fatalmente, finirebbe per essere risucchiata nella famiglia dei Paesi mitteleuropei con economie avanzate, che fine farebbe un altrettanto improbabile Repubblica del Sud? In quale gruppo di Paesi mediterranei essa confluirebbe?

Rispondiamo al primo interrogativo. Senza un diffuso tessuto industriale, senza un piano di sviluppo in un territorio violentato e devastato dove si continua a morire di “neoplasie ambientali”, senza soldi da Roma e con il 40% dei 2,3 milioni di disoccupati presenti nel Paese (rapporto “Noi Italia” – ISTAT 2016), le prospettive di sopravvivenza di una Repubblica del Sud sarebbero uguali a zero.

La risposta al secondo interrogativo è ancora più immediata. Una Repubblica del Sud (che della Lega Sud dovrebbe essere logica conseguenza) orbiterebbe fatalmente nel Mediterraneo assieme a Grecia, Spagna e Nord Africa e – come si capisce bene – tre debolezze messe insieme non farebbero una forza. Ecco perché lo statalismo, osteggiato tanto dalla Lega Nord, per il Sud è invece una pacchia così come lo è stato per le industrie italiane che, quando sono finiti gli aiuti di Stato, hanno dovuto chiudere i battenti o trasferirsi all’estero, ma evidentemente il Sud non ha questa stessa via di uscita.

Adesso Matteo Salvini, il segretario federale di quella stessa Lega Nord che si assegnava quale confine del proprio benessere il corso del “sacro Po”, è sceso addirittura sotto il Garigliano per cercare d’incettare il malcontento popolare che serpeggia da quelle parti e farlo confluire in una Lega Sud, dimostrando così di avere capito anche meno di Cazzullo del nostro Mezzogiorno. Per carità, una Lega del Sud potrebbe anche nascere sulla carta, ma con quale costrutto è facile da prevedersi.

Le popolazioni meridionali, in realtà, non sono alla ricerca di un leader o di quell’autonomia da Roma che non potrebbero permettersi, ma soltanto di un Masaniello, perché esse non credono più in un evento salvifico che possa venire “da fuori”. Ed è difficile dare loro torto dopo le rapine perpetrate in questi ultimi duemila anni da fenici, greci, romani, arabi, normanni, angioini e, infine, dallo Stato unitario. Tutti hanno portato via qualcosa senza crearvi nulla che fosse moderno e duraturo. Esercito, carabinieri, leva militare obbligatoria, fucilazioni e tasse: queste furono le credenziali con le quali l’Italia Unita si presentò al Sud! Ecco perché i popoli meridionali alla rivoluzione preferiscono la jacquerie, e alle concioni degli “illuminati” i randelli e i forconi, quegli stessi che i manifestanti hanno agitato a Napoli contro il prode Matteo asserragliato dentro la Mostra d’Oltremare.

La Lega Sud ipotizzata da Cazzullo e vagheggiata da Salvini sul terreno non esercirebbe nessuna attrattiva, saprebbe troppo di Nord, come dire il “nemico” storico, la causa di tutti i loro mali nell’immaginario delle popolazioni del nostro Sud. A questo punto, chiunque non sia affetto da faziosità congenita dovrebbe capire che le cose occorrenti al nostro Paese in questo preciso momento storico non sono le Leghe politiche, gli egoismi campanilistici e le divisioni, ma unità, unità, unità.

Purtroppo a remare contro – e non bisogna avere paura di dirlo – sono un’Unione Europea burocratica e senza rotta, una classe politica e dirigente senza capacità e pudore, cittadini annichiliti e smarriti che da tempo hanno rinunciato al diritto fondante dei loro ordinamenti, come dire all’articolo 1 della Costituzione Italiana: «La sovranità appartiene al popolo». Ma siamo ancora un popolo?

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