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Editoriale

CASTIGO

MASSIMO LODI - 07/04/2017

renzidostCosa farà Renzi dopo aver vinto le primarie del Pd? Forse attenderà gli eventi (niente elezioni in anticipo). Forse li forzerà (al voto in autunno). Forse modificherà la legge elettorale, accordandosi con tizio (Berlusconi) piuttosto che con caio (Grillo) e se del caso con sempronio (Salvini). Forse non la cambierà affatto: alle urne col proporzionale, sia alla Camera sia al Senato. Poi chi vivrà vedrà. Cioè: accordi i più convenienti possibili. Orizzonte largo o anche di prospettiva stretta: governare il tempo necessario al replay della chiamata popolare. Un classico: è l’operazione transito, frequente nella Prima e Seconda Repubblica.

Di sicuro Renzi avrà il pallino in mano. E questo è il risultatone ottenuto dai nemici esterni/interni che volevano levarselo dai piedi. Specialmente interni. Credevano d’esservi riusciti, sabotando referendum e legge elettorale maggioritaria. Invece no: verdetto opposto. L’affondamento della riforma costituzionale e la conseguente bocciatura dell’Italicum lo hanno indebolito all’apparenza. Non nella sostanza.

Ne è prova il giudizio dei circoli democrats, assaggio delle primarie in programma il 30 aprile, aperte a tutti gl’italiani. Abbondandis in abbondandum, chiosava Totò: l’ex premier e segretario vince più del previsto, anziché perdere oltre il pronostico. Sfiorato il settanta per cento di consensi, Varese compresa. Dato per insopportabile antipatico, sembra riscuotere impreviste simpatie. L’accanimento politico/mediatico non lo sfavorisce: gli giova. Chi s’è adoperato a crocifiggerlo, ha sottovalutato l’effetto martirizzante della campagna versus Matteo.

Lo spirito della “ditta”, così caro allo scissionista Bersani e ai suoi volpini sodali (D’Alema first), prevale su ogni e radicale criticismo: il leader sotto incessante attacco ha trovato un esercito di difensori dentro il Pd, cui restano evidentemente care e chiare le radici d’un tempo. Né il Pci né la Dc -padri/madri del partito odierno- rifiutavano di far quadrato attorno ai notabili messi alla berlina. E il Pci lo faceva di più e meglio della Dc. Quel tic identitario è sopravvissuto a modifiche della ragion sociale, scomposizioni/ricomposizioni della base degl’iscritti, succedersi di generazioni. Oggi il suo esercizio vellica Renzi e scornacchia gli antirenziani.

Talvolta (1) il trasformismo risulta premiante in politica, come c’insegna la storia. Senza di esso, ad esempio, le vicende postrisorgimentali avrebbero preso una piega diversa da quella che finì per racchiuderle; e il Novecento è stato secolo maestro in materia, non riuscendo ad arruolare alla causa -cioè a scolorire nell’acqua liberale le negritudini fasciste- il solo Mussolini. Ma talaltra (2) il trasformismo risulta deleterio, prelude a sconfitte sorprendenti e disastrose, si ritorce contro chi lo evoca e utilizza.

Nessuno può dire se Renzi saprà adoperare con saggezza/astuzia la fortuna occorsagli, dopo gli sfortunati cimenti che l’hanno indotto a lasciare la presidenza del Consiglio e a svestire i panni di capo del Pd. Ma chiunque può vedere, fin d’ora, gli esiti dell’insipienza che ha infiammato la crociata a lui ostile, mossa da sciagurati personalismi e seguìta da spersonalizzate adesioni. Verrebbe da dire, ripescando nelle tracce di sbiadite letture, che os stultis contritio eius: la bocca dell’improvvido è la sua punizione. Verrebbe, ma non lo diciamo. Lo scriviamo e basta. Per rispetto verso l’improvvido. Gl’improvvidi. Quelli che piacevano al Dostoevskij di “Delitto e castigo”, un leader della narrazione che sarebbe piaciuto ai narranti della Leopolda.

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