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Politica

ANDARE PER GRADI

EDOARDO ZIN - 09/06/2017

europa“È finita l’America! Dobbiamo arrangiarci da soli! ”- mi dice malizioso un amico. “È vero. – gli rispondo – Tutto è grazia: l’uscita della Gran Bretagna e la vittoria di Trump negli USA hanno convinto gli europei a serrare le fila, a ritrovare quello che sembrava perduto, a convenire sul rilancio del più grande progetto politico del secolo scorso”.

Una sola cosa rimpiango della Brexit: la critica intelligente e ispirata a sano pragmatismo rispetto ai prolissi discorsi degli altri paesi membri!

Di Trump, al contrario, mi preoccupa tutto! Egli rappresenta l’involuzione di una situazione politica interna dopo una crisi economica in via di soluzione. La sua politica è gravida di conseguenze sociali con diseguaglianze e ceti medi umiliati. Il suo protezionismo incontrerà non pochi ostacoli e correrà il rischio di guerre commerciali. Compare per lanciare anatemi, ma scompare al momento di affrontare i giornalisti. La sua politica estera è una miscela di nazionalismo e di isolazionismo. All’ONU e negli ambienti ecologisti il solo suo nome incute ribrezzo.

Eppure non mancano i suoi “fans” anche in casa nostra: sono coloro che vedono nella globalizzazione incontrollata la causa di tutti i mali, coloro che vorrebbero rafforzare le frontiere, coloro che pensano: “prima noi, poi gli altri”, coloro i quali si fottono dei fenomeni climatici dovuti al riscaldamento terrestre (ma chiedono i danni in caso di penuria di pioggia, di alluvioni, di eccessivo caldo…), coloro che vogliono occupare e far crollare l’Unione nel segno del populismo e sull’onda di vuoti slogans che prevalgono sulla sostanza degli argomenti.

I populisti sono stati sconfitti in Austria, nei Paesi Bassi e in Francia. Macron è l’uomo nuovo che ridesta una nuova speranza: il suo connazionale Bernanos direbbe che quando si va alla fine della notte, si incontra una nuova aurora e il giovane Presidente della Repubblica è entrato in scena nel mezzo di una crisi interna e europea che sarebbe potuto diventare catastrofica.

La Germania si prepara alle elezioni di settembre, ma entrambi i due candidati, frau Merkel e herr Schultze, hanno solide credenziali europeiste. Fino a poco tempo fa i giornali tedeschi diffondevano un senso di stanchezza dell’elettorato nei confronti dell’attuale cancelliere, ma le ultime elezioni nella Saar hanno premiato, contro ogni previsione, frau Merkel, proprio in un land che è sempre stato un baluardo dei socialdemocratici: merito della sua politica delle porte aperte o della crescente ostilità della sua alleata CSU in aperto contrasto per la politica delle sanzioni contro la Russia che danneggia gli interessi bavaresi?

In Italia si è aperta, non troppo silente, la campagna per le prossime elezioni politiche, che hanno la loro scadenza naturale nei primi mesi del prossimo anno. Intanto, si prepara una nuova legge elettorale che ha un solo merito: lo sbarramento al 5%, ma che non assicura, almeno all’ora attuale, la governabilità, se non ricorrendo a coalizioni innaturali.

Allargando lo scenario al pianeta, noto che USA e Russia vedono nell’Europa un pericoloso concorrente in quanto essa dispone (grazie anche ai cittadini provenienti dai paesi d’emigrazione!) di una popolazione numericamente superiore a quella cumulata dalle due potenze sopracitate nonché di capacità economiche e tecnologiche d’avanguardia. La Turchia, col suo sultanato, tende i suoi disegni espansionistici nelle aree limitrofe, rendendo ancora più terrificanti la guerra in Siria e Irak e l’instabilità nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo.

La Brexit, Trump, la vittoria di Macron e le ormai prossime elezioni tedesche hanno rinvigorito, dunque, lo spirito europeo, ormai smorzato, di molti cittadini della nostra Unione. Si sta superando lo sconforto e dopo molte, profonde crisi lo scetticismo sta lasciando lo spazio alla speranza

È vero che tra i cittadini europei serpeggia ancora un acuto malcontento: le attese di Maastricht sono rimaste deluse; il trattato di Lisbona, che sembrava dare maggiori poteri al Parlamento Europeo, in pratica ha rafforzato il ruolo del Consiglio Europeo, istituzione che opera con metodi prevalentemente intergovernativi; l’Europa si è dimostrata incapace di dare un’adeguata risposta alla crisi economica e ad una politica concreta e unitaria al fenomeno dell’immigrazione; è assente una coordinata politica per affrontare le minacce alla sicurezza e all’identità europea, mentre la politica è sopraffatta da una pletorica burocrazia che, oltre a incidere notevolmente sul bilancio dell’Unione, dimostra di essere “senza anima” e di non saper semplificare i processi d’integrazione, bensì di complicarli. Ma di fronte all’irruzione di Trump, molti cittadini europei si stanno ricredendo.

Quando si scelse la via per raggiungere l’unità europea si scelse quella economica. Si creò un mercato unico, si permise la libera circolazione di merci e di capitali, con Schengen iniziò la libera circolazione delle persone, s’introdusse la moneta unica. Un mercato a dimensioni continentali non poteva funzionare senza una base uniforme di norme. Da qui i vincoli di bilancio, che non impongono agli stati come distribuire fra i cittadini le risorse disponibili, ma di farlo in un quadro di stabilità contabile e finanziaria. Questa fase ha creato intossicazioni consumistiche, insoddisfazioni, smodate competizioni, egoismi nazionali, una finanza selvaggia, delocalizzazioni delle industrie. Tutto questo a scapito del bene comune perché l’economia, se non è accompagnata da un desiderio di essere al servizio dell’uomo, creando lavoro, non suscita passioni, speranze e paure, progetti per i giovani che sono il corpo dell’esperienza e dell’esistenza umana. I sovranisti chiedono un ritorno restrittivo delle misure nazionali per la tutela di interessi particolari, ma non spiegano come farà uno stato – nazione a fronteggiare il fenomeno della globalizzazione.

A mio avviso per rifondare l’Europa e raggiungere l’obiettivo dell’unità politica occorre andare per gradi, come insegnavano Schuman e Monnet, radicando questo progetto nelle coscienze degli europei. Oggi c’è l’urgenza di condividere una politica comune per l’immigrazione, di rilanciare l’economia, di combattere il terrorismo. Tutto ciò non basterà: ci sono priorità da affrontare, ma soprattutto c’è da inaugurare il senso di appartenenza alla stessa comunità, ritrovare il valore della politica come faticosa ricerca di soluzioni e non solo di compromessi, rinsaldare il senso di appartenenza allo stesso destino.

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