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Editoriale

SU E GIU’

MASSIMO LODI - 08/09/2017

nutella-paoli

L’estate che spegne finalmente i bollori ci lascia in eredità molte delusioni. Ma anche qualche gratificazione.

Per esempio, giusto per un tocco d’ottimismo doveroso. Tra una minaccia d’abbattimento di statua e l’altra -e magari in procinto di vietare la Colomba pasquale dopo aver bandito il Colombo navigatore- dall’America arrivano anche notizie buone a riguardo degl’italiani. Di noi tutti. La contemporaneità la vince sul passato. La competenza sullo scetticismo. Il dolce sull’amaro.

La novella, fortemente apprezzata oltreoceano, racconta di un export imprenditoriale d’ingegno/avanguardia. Ne è protagonista la Ferrero, che inaugura tra Manhattan e il Queens un centro d’innovazione tecnologica destinato a far scuola. Gli specialisti dell’azienda di Alba che produce cioccolatini, ovetti, merendine e altro bendidio trasferiranno il loro sapere dalla provincia piemontese al continente più evoluto al mondo.

Non è robetta di zero conto, in tempi così grami. Difettando d’una rassicurante immagine all’estero a causa del deficit di credibilità della classe politica, i successi delle nostre eccellenze d’impresa (tra le quali la filiera della qualità varesina) sono pannicelli più che caldi. Confermano che, pur tra mille difficoltà/ostacoli/delusioni, qui si continua a lavorar sodo e veder lungo, programmare e realizzare. Restiamo un popolo d’individualisti tenaci e però anche capace di fare squadra, bella e perfino bellissima squadra, quando occorre. Non solo nel calcio. E se la facciamo, non ce n’è per nessuno.

Vero (1) che molti giovani cervelli continuano ad andare in fuga all’estero. Idem vero (2) che fuori dei confini portiamo il risultato della brillantezza di studi e sperimentazioni effettuati a domicilio. Basti pensare a certe preziosità della nicchia bosina. Siamo insomma meno peggio di quel che pensiamo d’essere. O meglio (toh, la conferma): il Paese che lavora gode d’una considerazione inversamente proporzionale al Paese che lo rappresenta.

Nell’attesa mitica/biblica che il secondo riduca la distanza dal primo (come diceva Einstein, bisogna vivere come se nulla fosse un miracolo, o come se tutto lo fosse), ci consoliamo all’idea che nella Grande Mela quel capolavoro tricolore della Nutella s’evolverà ben presto nella Newtella a stelle e strisce. Un sospiro di sollievo tra le pesantezze della ripresa, condotta more solito dalla fanfara inconcludente della sciagurata partitocrazia che s’accapiglia su legge elettorale e poco (nulla) più.

***

Fatichiamo a capire come si possa vivere da eremiti -e da eremiti morire, vedi il milanese i cui resti sono stati trovati pochi giorni fa- nel mondo della socializzazione al cubo. Tutti insieme, connessi, dialoganti. Sempre e comunque. Dove sta l’errore?

Si potrebbe (banalmente) dire: nel credere che la virtualità sia la realtà. Pensi d’appartenere a una grande compagnia e invece nuoti in una piccola emarginazione.  Fino ad annegarvici. Ma non è il caso dello scomparso, che aveva staccato ogni filo tecnico, e figuriamoci tecnologico, da quanto  e da quanti gli stavano intorno. Dunque la colpa non va ascritta al progresso che riporta indietro al punto da decidere di non andare più avanti.

La colpa è una non colpa. Sentirsi vuoti quando ci si trova nel pieno d’una moltitudine. Prender nota che cadi e nessuno ti rialza. Scoprirti senza difesa di fronte a qualunque aggressione. A volte una parola, lo sguardo, il sospiro, i silenzi sanno far più male del gesto violento. Gino Paoli cantava: noi, è la solitudine che se ne va. Noi, è la tristezza che diventa felicità. Noi, sono le tue mani che cercano le mie. Il problema diventa importante, e a volte drammatico, se il noi non si sostituisce all’io. Succede spesso: una caterva di io, nessun noi.

Allora l’isolamento, lo ha spiegato lo scrittore russo-americano Vladimir Nabokov, appare il campo da gioco di Satana e non c’è speranza di resistere a un avversario imbattibile. Ce la si potrebbe fare solo con uno scudo di comunità d’affetti, scelte, ideali. Purtroppo non è non vendita. O riesci a costruirtelo di giorno in giorno, con bravura e fortuna, o devi rinunciare a possederlo. È il destino di molti vinti, logorati dal mestiere di vivere, costretti alla resa pur se ignari del perché d’un simile obbligo. Diceva Pavese che la scoperta dell’esistenza del nulla in fondo all’anima apre le porte all’abisso. Appunto. Da una casa di Baggio, hinterland meneghino, è venuta l’ennesima conferma.

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