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Chiesa

“IO NON HO MARITO”

MASSIMO CRESPI - 03/03/2012

 In quel tempo. Il Signore Gesù giunse a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».

In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui.
Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: “Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura”? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica».
Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».
(Giovanni 4, 5-42)

Paolo Veronese, Cristo e la samaritana; 1580-1582

Il Signore è affaticato, siede per terra; ha sete e non ha mezzo di procurarsi l’acqua ristoratrice. E per di più l’unico pozzo di cui servirsi risulta non raggiungibile perché troppo profondo per le sue braccia… Braccia, servirebbero delle lunghe braccia per potersi dissetare scongiurando la disidratazione e il pericolo del rimanere esposto sotto quel sole di mezzogiorno che schiaccia con la sua cappa qualunque forma di vita. Di braccia ha bisogno Gesù per bere e continuare la sua missione terrena… Come la Samaritana, noi possediamo ciò che serve per avere tutta l’acqua che vogliamo, camminiamo senza difficoltà, spediti in direzione del pozzo che è vicino, ricco della risorsa che garantisce la vita sulla terra; nulla ci può fermare, dividere da quel giacimento così prezioso che possiamo utilizzare come meglio crediamo. Che facciamo? Per caso decidiamo di rallentare la nostra camminata attratti da qualcuno che è fermo, non si muove, ma sentiamo lamentarsi di non esser abile, capace di mantenersi da solo? L’ascoltiamo domandarci di aiutarlo nelle cose che non riesce a fare e che noi dovremmo fare per lui? Vogliamo trattenerci di fronte a chi ci invita a lui col rischio che ci importuni, ci freni nell’agire, nel concludere compiti importanti, nel faticare e produrre risultati per noi, nel procurarci le cose essenziali per vivere? La donna samaritana lo fa, decide di “perder” tempo con Gesù; gli parla. La scena descritta si ripete similmente nelle nostre città, dove pozzi ricchi delle possibilità, dei mezzi che garantiscono la sopravvivenza, ma anche l’agiatezza e la prosperità personale, vengono quotidianamente svuotati da coloro che lo fanno, continuano a farlo noncuranti dei “poveracci” lì vicino, che non possono competere con loro o non vogliono più perché stanchi, impotenti, incapaci. Questi validi ed abili sfruttatori di sostanze e di beni si dissetano senza alcun problema, però lamentano costantemente di avere sete nonostante dispongano di grandi quantità di liquidi. Non fanno come la Samaritana, non ascoltano l’offerta di chi potrebbe donare loro l’acqua che non lascia assetati, l’acqua viva di cui parla Giovanni. Se lo facessero riceverebbero quell’acqua tanto desiderata, l’autosufficienza personale e la possibilità di dispensare chicchessia dal cercare nuove fonti; leggiamo: “Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna”. Avrebbero dovuto fermarsi, quei bevitori, dove si trovava qualcuno che parlando si sarebbe rivelato profetico perché profondo conoscitore della loro vita, delle loro vicende, e saggio giudice dei comportamenti umani; si sarebbero resi conto di ciò che conta maggiormente nella storia di chi crede nell’annuncio del Signore e nella forza delle sue parole dicendo: “So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa”. Si sarebbero meritati la manifestazione di Dio che si sarebbe rivelato loro così: “Sono io, che parlo con te”. Eppure, le vie delle nostre città sono piene di gente che si muove solamente per dare la caccia a ogni sorta di pozzo delle meraviglie, colmo di cose, di beni indivisibili buoni solo per chi si impossesserà per primo della loro abbondanza. Si corre, si sbraita, ci si sfida adottando qualunque tipo di sistema atto ad eliminare chi rappresenta la concorrenza a nostre spese. L’idea che si potrebbe “lasciare l’anfora” (Gv 4, 28), rinunciare alla competizione e magari mettere da parte ciò che ci rende ricchi non ci passa per la testa. Ci si dimentica persino che esistono persone disinteressate alla corsa all’oro o alla lotta, al sopruso per prevalere sul prossimo; che esiste chi non crede che tutto sia alla portata del più forte e del più furbo, bensì che tutto sia pronto per chi invece si riconosce debole e indifeso, come Gesù vicino al pozzo di Sicar. Tutto è pronto, preparato per l’uomo che sa sentire: “Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura”. L’uomo che nella propria debolezza distingue l’assetato, l’ascolta, l’apprezza, anche se non l’aiuta, raccoglierà comunque la sua bontà, mietendola a piene mani, insieme al Salvatore.

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