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Editoriale

RAMMENDO

MASSIMO LODI - 18/01/2018

Il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana

Il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana

Il 4 marzo non vincerà la destra o la sinistra. Non vincerà il rinnovamento o la conservazione. Non vincerà l’europeismo o l’antieuropeismo. Vincerà il populismo o il no al populismo. È questa la sfida che già da tempo infiamma l’Europa, e ne è stata testimonianza più d’una elezione nazionale a cominciare dal cimento francese. Anche noi seguiremo la traccia, e ne nascerà un nuovo spartiacque rispetto alla passata tradizione. Chi sceglierà di stare con le forze che mirano a disgregare, abolire, distruggere; e chi di opporre resistenza alla tentazione dello sfascio per lo sfascio.

Naturalmente non tutti osano mettere in chiaro questo semplice/evidente schema prima che si vada al voto. Ma nessuno potrà evitarne l’affermazione/il riconoscimento all’indomani del verdetto. Perciò le alleanze in essere -a destra e a sinistra: specialmente a destra- avranno la durata d’uno spottone propagandistico e null’altro. Ritornati a casa dalle urne, troveremo un’altra Italia politica, assai diversa dall’attuale: ce la restituirà, assolutamente scomposta e totalmente da ricomporre, il sistema proporzionale.

Ciascun partito interpreterà il quantum del raccolto elettorale secondo attitudine e convenienza, dicendo d’ispirarsi a un indiscutibile valore etico/sociale. Che valore? Il bene comune. E qui saremo al punto: ci si dividerà tra coloro che lo interpretano come un obiettivo perseguibile attraverso serietà d’intenti, competenza operativa, fatti concreti, saggezza d’orizzonte; e coloro che lo giudicano come uno scopo da indicare a colpi di slogan, senza fondamenta economiche, non badando a esperienza e professionalità, facendo leva sul rancore e, se capita (è già capitato), sul razzismo.

La prima scelta si annuncia difficile. Richiede realismo, coraggio, umiltà. Può sembrare debole, alla superficie. Chi riuscisse ad attuarla dimostrerebbe invece straordinaria forza. La seconda appare facile, perfino facilissima. Non ci vuol nulla a promettere/illudere, ci vorrebbe troppo a mantenere/realizzare qualora argomentazioni che poggiano sull’acqua trovassero un consenso pronto a navigarci sopra.

In questa mischia, quale posizione prende la Chiesa, che cosa intende comunicare ai cattolici che s’apprestano a compiere il loro dovere di votanti (spesso, per non dire sempre, appare un dovere e non solo un diritto)? Ha cominciato a spiegarlo, in un’intervista ad Andrea Tornielli della Stampa, il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei: “Ho paura di chi soffia sul fuoco della rabbia sociale, soprattutto dei ceti poveri e popolari. Per esperienza personale -sia di montanaro, cresciuto nelle campagne romagnole, che di vescovo- so bene che quando si soffia in un camino acceso, il fuoco non solo non si spegne ma le scintille della fiamma possono propagarsi ovunque. Ricordo, all’inizio del mio episcopato, quando dovetti occuparmi, non per scelta ma per necessità, delle industrie di Piombino. Aiutare la povera gente, favorire la riconciliazione, mediare tra operai e imprenditori fu difficilissimo, ma alla fine si salvarono sia le industrie che i posti di lavoro. Quindi sì, ho timore di tutti coloro che si appellano al popolo in modo strumentale, magari urlando a squarciagola ma senza far niente di concreto”.

A Bassetti non è stato chiesto quale dei due nuovi partiti che nasceranno all’indomani dell’election day riscuota la sua simpatia. Ma Bassetti, affermando che c’è un’Italia da rammendare con senso di responsabilità, ha prevenuto la domanda dando una risposta implicita e precisa. Improntata al mandato evangelico, assai più importante di quello legislativo. E con un suo non revocabile vincolo.

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