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Editoriale

NAUSEOSE

MASSIMO LODI - 16/03/2018

banderuolaQuel che succede nel Pd, e anche fuori del Pd sui versanti economico / sociali / culturali, sembrerebbe la replica virtuosa dell’antica massima latina: Sapientis est mutare consilium. Appartiene all’imperatore-filosofo Marco Aurelio: cambiare opinione e dare ascolto a chi ti corregge è comportamento da uomo libero. Altri, infiniti altri, hanno espresso il medesimo concetto di Marco Aurelio, ad esempio il suo celebre collega di studi speculativi Seneca: il mutare d’intenti è esercizio encomiabile. Idem il cambiare giudizio sulle persone. E lo stesso il rimescolare un convincimento politico. Ne dovremmo concludere (eccoci alla contemporaneità) che i filorenziani diventati antirenziani rappresentano il massimo della provvida elasticità realistica/morale. Si erano fatti dell’ex premier un’idea, ne sono stati delusi, ovvio che abbiano modificato il tiro opinionistico. Se fosse così, inchino obligé a un atteggiamento degno di riverenza. E, anzi, da indicare a modello. Particolarmente ai giovani, bisognosi (ad avviso de populo) d’ispirarsi ad archetipi d’assoluta purezza etica/comportamentale.

Ma purtroppo le cose stanno diversamente. Stanno che l’esercito dei voltagabbana séguita a costituire la categoria più folta, disincantata, perfida, cinica d’un Paese non per accidente luogo d’origine e vita del memorabile Machiavelli. Sul carro di Renzi è salita, negli anni, una folla tale da non potervi essere ospitata per intero. Poi, dopo gl’inciampi in aguzzi ciottoli, ecco la rapida discesa dal veicolo magico, tumultuante al punto d’apparire ridicola. Renzi da dio è stato cangiato in diavolo. Uno spettacolare show (siamo nell’epoca in cui nulla sembra estraneo alla logica/alle regole dello show) iniziatosi con la sconfitta Pd alle amministrative di Roma e Torino nel giugno 2016; proseguito con il ko del presidente del Consiglio nel referendum costituzionale, dicembre dello stesso anno; e arrivato a conclusione con la débacle del 4 marzo scorso.

Naturalmente questo non significa assolvere un capopartito che ha infilato sconfitte in serie. Chi sbaglia, paga: la volontà nazionale resta sovrana e onorabile. Ma significa denunziare l’insopportabilità della corte di beneficati che s’era giovata della sua ascesa, e ora preme il grilletto da fuciliere di prima fila per far fuori l’ex uomo forte sprezzato come ultimo dei miserabili. Quest’onda ormai dominante -nell’Italia d’Arlecchini/Pulcinella/Gioppini e quant’altre maschere grottesche- richiama alla memoria, giusto per ricorrere al parere d’un non italiano, lo scrittore tedesco Heinrich Heine. Annotò nei suoi Frammenti inglesi: “La banderuola sulla guglia del campanile, benché di ferro, sarebbe presto rotta dalla tempesta se non conoscesse la nobile arte di girare a ogni vento”.

Nobile? Però, che battutista formidabile, questo Heine dal cognome d’un goleador di Champions League. Neppure Crozza o Gnocchi o Grillo (uber alles Grillo, postcomico d’olimpico successo) sarebbero capaci di tanto. Sì, perché ce ne vuole, d’ironia/di sarcasmo, per attribuire una caratura dorata all’aggeggio di latta che gira secondo l’arieggiare di circostanza. E provoca un clangore del tipo gradito al poeta Guido Gozzano, che metteva in versi (bravo, bravissimo) le “nauseose” derive della nostra quotidianità. Compresa quella politica.

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