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Editoriale

SUDAMERICA

MASSIMO LODI - 13/07/2018

Buenos Aires

Buenos Aires

Fra tante sciocchezze propagandistiche, una di buonsenso e niente affatto intimidatoria l’ha detta nei giorni scorsi il presidente dell’Associazione bancaria italiana, Antonio Patuelli: o l’Italia sceglie più Europa o finirà come l’Argentina. Siamo insomma a rischio Sudamerica, ipotesi facilmente immaginabile sin dall’avvio del governo sovranista, che tiene insieme due opposti inconciliabili salvo che nella voglia di conquista del potere e d’occupazione delle poltrone.

Fin che si parla di migranti, di sicurezza e d’altro di rilevanza marginale nei conti repubblicani, una qualche colla chiude le fessure (i varchi) evidenti tra Cinquestelle e Lega. Quando entra in campo la maxieconomia, le divergenze saltano fuori nella loro appuntita chiarezza. Lo si sta vedendo sul “decreto dignità”, con Di Maio che sostiene una tesi e Salvini un’altra. Per forza: il primo deve soddisfare le richieste del Sud che mira all’assistenzialismo, il secondo del Nord che guarda alla produttività. Nel frattempo, né reddito di cittadinanza né flat tax: le casse dello Stato farebbero fatica -e forse non riuscirebbero del tutto- a sostenere uno dei due provvedimenti, figuriamoci entrambi.

Torniamo a Patuelli. Ha spiegato che c’è certamente bisogno di un’Europa rinnovata nel segno della democrazia e della solidarietà. Ma guai a mettere in discussione princìpi e regole della società aperta, del mercato libero, competitivo, obbediente a criteri razionali e non al debordare dei parolai un tanto a slogan. Lo Stato italiano anni orsono sfiorò il fallimento, evitato grazie alle politiche monetarie del presidente della Bce Draghi e dalle misure d’emergenze assunte dal governo Monti. Senza il parallelismo dei due interventi, il debito pubblico si sarebbe ipertrofizzato con una drammatica ricaduta su famiglie e imprese.

Oggi ci avviciniamo al medesimo burrone, se chi governa non cambierà idea a proposito delle velleitarie/incoscienti misure di cui narrano i corridoi dei palazzi romani e i retroscenisti dei maggiori giornali. Patuelli ha voluto ricordarlo non perché portavoce degl’istituti di credito ai quali una grottesca demagogia attribuisce ogni colpa dei nostri guai; ma perché esponente di prima fila d’un blocco istituzionale (tali sono le banche) che privilegia i fatti anziché le chiacchiere. E i fatti ci ammoniscono a non sbagliare strada, imboccando la via dei Paesi latinoamericani nei quali milioni di persone sono finite sul lastrico a causa di scelte irresponsabili/incompetenti.

Quindi: ok ad ammodernarsi, migliorare, progredire. E però nel segno della prudenza, del pragmatismo, della consapevolezza. Solo gl’incauti sottovalutano l’importanza dello spread, il cui andamento è spia della salute d’una nazione. Ogni aumento del differenziale tra i titoli di Stato italiani e tedeschi impatta sull’economia reale e le conseguenze le paga ciascuno di noi. La tutela del risparmio nazionale e la difesa della stabilità del sistema finanziario non si assicurano a colpi di boutade, ma sapendo come affrontare/risolvere i problemi strategici. L’ottimo ministro dell’Economia lo sa, e spera di convincere la corte dei miracoli che non lo sa.

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