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Editoriale

IL PRIMARIO

MASSIMO LODI - 21/06/2019

Mario Draghi

Mario Draghi

Mario Draghi torna a imbracciare il bazooka e ridà fiato alle borse europee. Che sono tenute in mano dai poteri forti, ma se le lasciano cadere, i danni li pagano anche i più deboli. Perché il giro dei soldi funziona a circuito generale, non c’è chi ne rimanga escluso, volente o nolente. E questa è la prima buona notizia, in mezzo al profluvio di sciocchezze economiche dispensate a esclusivo beneficio propagandistico. Tipo: i minibot, che il ministro del Tesoro giudica illegali e pericolosi.

La seconda buona notizia è l’irritazione di Trump per la mossa di Draghi (taglio dei tassi d’interesse e possibile/probabile nuovo quantitative easing) a difesa dell’Europa. Avremo importanti vantaggi, riuscendo a svincolarci dalla morsa americano-cinese, e a rinsaldare un polo continentale che va infiacchendosi da tempo. A conseguire lo scopo dovrebbero pensarci leader di Stato e di governo, e però se alla loro latitanza supplisce il capo -sia pure in uscita- della Bce, viva il capo della Bce. Trump se ne farà una ragione, e gliene verrà anche un timore: dall’altra parte del mondo abita qualcuno non prono ai suoi progetti di supremazia.

La terza buona notizia è l’accresciuto profilo politico di Draghi medesimo, dopo tale esternazione. E questo c’importa come italiani, più che come europei. Draghi non è una riserva della Repubblica: è un titolare, momentaneamente prestato a un’altra squadra. Ma presto o tardi (meglio presto che tardi) tornerà, secondo gli auspici di molti, a rivestire la sua maglia d’origine. Tradotto, vuole dire quanto segue. Se le ambasce economiche seguiteranno a stritolarci, se le crepe dell’esecutivo gialloverde s’allargheranno, se una crisi di governo risulterà ineluttabile, se dalle successive elezioni non uscirà una maggioranza autorevole e garante di stabilità, se il disastro dei conti già in essere peggiorerà nel divenire; se tutto questo e qualcos’altro ancora ci toccherà in sorte, il ricorso a un governo d’emergenza diventerà un obbligo invece che una scelta. E d’un simile governo, sorretto dal consenso partitico trasversale, Draghi sarebbe la guida migliore.

Egli non è un freddo burocrate, come superficialmente/strumentalmente definito da tanta letteratura mediatica. È invece un politico dotato di rara cultura finanziaria, con il coté adatto a volgersi in statista. Ovvero: sa far di conto e mettere i numeri al servizio delle opere, altrimenti dette bene pubblico. Non il contrario. Proprio il tipo che ci manca, fra tanti sovranisti dell’urlo, populisti ignari di cos’è veramente utile al popolo, oppositori di destra e sinistra dalle idee confuse e dalla zero credibilità.

Nel caso -purtroppo non improbabile, visto l’andazzo corrente- di dover salvare l’Italia dal fallimento, evitandole di degradarsi a una Grecia-bis e scongiurando l’insediamento a Roma dei commissari di Bruxelles, la carta Draghi andrà giocata perché l’unica rimasta da giocare. Chi soffre d’una grave malattia, si rivolge a un medico di non ancora dimostrate doti, o ricorre a un primario d’autorevole capacità? La risposta è scontata, qualora s’intenda guarire -sia pure prendendo farmaci con qualche effetto collaterale- anziché tirare le cuoia.

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