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Editoriale

BARCHETTA

MASSIMO LODI - 19/07/2019

lunaIeri, quando lassù s’è fatto azzurro tenebra, la luna ci ha sorriso. Un confidenziale ammicco celeste. Fu così anche cinquant’anni orsono, il mattino del 21 luglio ’69, la nostra leggendaria alba. Primo uomo nella storia, vi mise piede Neil Armstrong, e Tito Stagno esultò dallo schermo della tv. Il contagio di passione s’estese all’universo mondo, compresi i professori che qualche ora più tardi m’interrogarono all’esame di maturità del liceo classico: così presi dall’evento, e di magnanimo umore, da ignorare i crateri della mia preparazione terra-terra.

La luna -piena, mezza, a barchetta- è una visione curiosa e intrigante. Soprattutto a barchetta, quando pare guardar giù con un’empatica sembianza, di questi tempi inaspettata. Che cos’avrà la luna da sorridere, da sorriderci, in notturni così grami? Si penserebbe nulla, proprio nulla. Si penserebbe, perciò, che la luna ci ha voluto scherzare, muover beffa, provocare. Comunicandoci: lì ve la passate male, qui si sta d’un bene che non credereste. A dirla tutta, una luna irreale o ignara delle cose del mondo o irrispettosa degli affanni cosmici. Altro che graziosa luna (Leopardi) o carezzevole e leggera (Baudelaire) o arpa che vibra (Spaziani) o musa del virtuosismo pallonaro (Cristiano Ronaldo).

Ma questo di primo acchito. Di secondo, l’approccio è risultato diverso. Meno infastidito e pessimistico. Più versato alla speranza che alla cupezza.  Ha fissato l’attenzione sul sorriso in sé. Sul suo manifestarsi. Sul richiamo, addirittura, al fatto che il sorriso esiste davvero, e non è semisconosciuto come ormai sembrerebbe, a noi d’una certa/delusa età. Ecco che cosa ha voluto segnalare la luna, mezzo secolo dopo averci conosciuto di persona: nonostante tutto, ricordatevi del sorriso. Almeno di un sorriso ogni tanto, pur se non avete grandi motivi per sorridere.

Però uno dice alla luna: non posso stamparmi sulla faccia un sorriso forzato. Imposto. Tecnico. Ma la luna gli risponde: sbagli, non è sempre vero che il sorriso sia l’espressione della fortuna economica, del gradimento sociale, di un equilibrio esistenziale e quindi d’angosce rimosse. Non è solo roba da ricchi e per gente felice. A volte (molte volte) accade il contrario: il sorriso non rappresenta il risultato di un’allegria, ne costituisce la causa. Rende felici, arricchisce lo spirito, gratifica l’anima.

Perché non dar retta a una così suggestiva lettura del sorriso, forse (solo forse) artificiosa all’apparenza? Come minimo, ci conviene. Come massimo, se non conviene a noi, converrà in qualche modo ad altri diversi da noi. Per quale colpevole istinto rifiutare un gesto di generosità, se non un atto di saggezza?

Uno scrittore britannico che percorse l’Italia nel Settecento tenendo un diario sentimentale, annotò la seguente riflessione: il sorriso può aggiungere un filo alla trama brevissima della vita. La vita di chi lo dona e la vita di chi lo riceve. Naturalmente non ci voleva un letterato e non ci voleva neppure la luna per ricordare questa che appare un’ovvietà, però come mai siamo basìti dalle ovvietà al punto da considerarle scoperte emozionanti quando ce ne viene rammentata l’esistenza? Magari (di sicuro) perché confondiamo il superfluo con l’essenziale e navighiamo da inesperti, dentro la nostra barchetta, sulle onde della vita. Cercando un porto sicuro per anime d’inquieti migranti.

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