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Chiesa

NON ANDRANNO MAI PERDUTE

MASSIMO CRESPI - 28/04/2012

“Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. Io e il Padre siamo una cosa sola”. Giovanni (10, 27-30)

Il Buon Pastore, Ravenna Mausoleo di Galla Placidia

Le pecore del Signore, quando sentono la sua voce, lo seguono. Gesù lo sa bene perché le conosce e sa che fanno davvero così, spinte dall’attaccamento per il loro pastore. E noi, se siamo fedeli servitori dei nostri pastori, facciamo ugualmente. Essi, i pastori, ci propongono la vita eterna attraverso la somministrazione dei Sacramenti e l’annuncio della Parola di Dio, promettendoci che non andremo mai perduti, ma tenuti per sempre nelle mani della Chiesa che prega, della parrocchia, della comunità cristiana a cui siamo legati. Sentiamo la voce dei nostri Sacerdoti sapendo che ci conoscono, che sanno che li seguiremo nel richiamarci poiché vogliamo loro bene e desideriamo stare con loro… Ne siamo convinti? Nel paragone evangelico sopra spiegato troviamo dinamiche di relazione tra le pecore ed il pastore che le porta al pascolo basate sull’ininterrotta comunicazione, la conoscenza reciproca, la consapevolezza, lo scambio di bene; ma tra i fedeli e le loro guide, nelle chiese e nelle case parrocchiali, il rapporto non è proprio lo stesso.

Per prima cosa la voce dei nostri preti non la sentiamo continuativamente, e poi la sentiamo male; non è vero? Ci chiamano ogni giorno per andare da loro, preoccupandosi che stiamo vicini, nelle prime file, però non le riempiamo mai; rimaniamo distanti, nelle panche più lontane. Diciamo le cose come stanno: quelle panche le gremiamo soltanto la domenica mattina, alla messa festiva; per il resto della settimana siamo presi, impegnati tanto da non riuscire a dedicare qualche altra ora all’Eucaristia. Lei, il Sacramento che ci fa stare con Gesù, che è Gesù, si rende disponibile tutti i santi giorni, tuttavia ci sono motivi d’ordine maggiore che non ci spingono verso il Tabernacolo dove egli dimora accogliendoci. Secondariamente, coi preti normalmente non abbiamo rapporti stretti in maniera tale da farci conoscere bene e confrontarci serratamente, facendoci sentire tutte le volte che dobbiamo dire qualche cosa, facendoci intimi. Riteniamo ci sia sempre qualcun altro che esprime le proprie idee sul da farsi, meglio, prima di noi, invece non è così; pensiamo ci sia qualcuno che per noi decide per gli affari della chiesa, nel migliore dei modi, invece non è così; pensiamo che qualcuno sicuramente contribuirà a gestire correttamente gli oratori, i bar, i teatri, i gruppi parrocchiali, i corsi, il catechismo, la sacrestia, le sale, le sedie e i tavoli; invece non è così. Serviamo noi. Siamo necessari con la nostra cultura, la preparazione, la disponibilità affettuosa, ma soprattutto con la nostra preziosa singolarità la quale ci fa diversi, possessori di quell’unica caratteristica che è proprio la risorsa tanto ricercata da tutti coloro che necessitano d’aiuto. Ma non ci crediamo. Malgrado ciò Dio ci ha fatto ricchi, indispensabili per il prossimo, fratello nel Signore e bisognoso, sia pur esso l’illustre ed onorevole membro del Consiglio diocesano; sia pure quel Sacrestano così schivo o supponente, quel Diacono così gasato o quel Vescovo così potente ed inavvicinabile… Per costoro serviamo noi, sennò la Chiesa si rovina, cade e viene meno.

Se non altro, cerchiamo di scaldarla la Chiesa, rimanendole vicino come pecore che comprendono l’importanza del calore che protegge e rinfranca le membra affaticate e raffreddate. E la prossima volta che ci capita di parlare col nostro Sacerdote, diciamogli: caro don, come state? Posso fare qualcosa per voi? In questo modo ci saprà ardenti, pronti per muoverci con lui in ogni pascolo; quando ci vorrà trovare, basterà ascolti il nostro scampanellare lieto…

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