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Ambiente

DIFFIDENZA LAGHÉE

FABIO GANDINI - 15/04/2022

lagoUn tuffo alla Schiranna e uno al molo di Bodio Lomnago. In piscina? No, dentro quel bacino in cui si specchia il Campo dei Fiori e dal quale, nei giorni belli, il Monte Rosa sembra così vicino che lo puoi quasi toccare.

Per decenni, d’altronde, il panorama è stato l’unico vanto di queste acque. Il panorama e, negli ultimi due o tre lustri, il canottaggio: la placidità del lago di Varese lo rende, infatti, il campo gara più rinomato d’Europa dello sport remiero, meta ambita di team privati o nazionali provenienti da ogni parte del mondo.

Dietro tanto splendore paesaggistico e tanta utilità sportiva, però, un dramma dell’inquinamento, anzi di più, una vera e propria malattia. Provocata dall’irresponsabilità diffusa degli anni del boom economico, aggravata da sconsiderati piani edilizi e da un perdurante disinteresse verso i temi ambientali. Dentro al nostro lago ci è finito di tutto e di più. E per tanto, troppo tempo il fatto è parso trascurabile, poi ineluttabile, infine immodificabile nelle sue conseguenze.

Mio nonno Carlo, classe 1920, sosteneva di averla bevuta l’acqua delle rive di Calcinate del Pesce, dove abitava: io, quarant’anni a giugno, sono invece cresciuto con il nefasto mito, vero o pressapoco vero, di abitare vicino al “lago più inquinato d’Italia”.

Il nuovo secolo ha portato coscienza autentica verso i problemi della Madre Terra, qui e altrove. E di quel bene naturale apparentemente irrecuperabile, dello stato del “lago più inquinato d’Italia”, abbiamo iniziato a occuparci. L’ultimo ciclo di interventi ha avuto lo stampo di una proficua alleanza istituzionale (nello stesso Accordo sono infatti confluiti Comuni, Provincia e Regione, oltre alle autorità sanitarie e ambientali) e si è articolato su tre piani di intervento: il primo dedicato all’agognata mappatura della rete fognaria, utile a capire dove e quando, ancora, stiamo nuocendo alla salute delle acque; il secondo riservato al collettore della rete fognaria, risanato e migliorato nella sue efficienza.

Il terzo, forse il più importante, è invece andato ad agire sui danni pregressi, quelli considerati apparentemente insormontabili. Nello specchio varesino sono confluiti, in tutta la seconda parte del XX secolo, fosforo, ammoniaca e azoto, in quantità tali da provocare l’eutrofizzazione del lago, togliere ossigeno alle sue acque (e alla maggior parte delle creature che le abitavano) e contribuire alla proliferazione delle alghe. Da qui la necessità di andare ad agire sul fondo, dove le sostanze si sono via via depositate, aspirare quindi le acque più contaminate, prelevarle e mandarle nel fiume Bardello, l’unico emissario del lago di Varese, mischiandole con quelle sane che poi arrivano nel lago Maggiore, senza provocare danni. Si tratta del cosiddetto prelievo ipolimnico.

Oggi il lago di Varese non è più inquinato come un tempo. Lo confermano i dati: gli interventi stanno dando frutti. Tanto da spingere, e qui torniamo all’inizio, Regione Lombardia a dichiarare possibile una balneabilità “sperimentale” già dalla prossima estate, addirittura con un anno di anticipo rispetto al crono-programma dei miglioramenti stabilito nell’Accordo sopracitato.

Il passato, però, non è un fardello facile di cui disfarsi: sessant’anni di inquinamento non si cancellano per magia dalla “memoria” delle rive e di chi le abita. L’occhio, guardingo e un po’ disilluso, cade spesso su quelle acque così torbide. E non si fida, ricordandosi che le ultime, vaste fioriture algali, sensibili di colorare di verde diverse parti del lago, risalgono appena al settembre scorso: ciò, almeno in parte, significa che gli scolmatori, in particolare dopo le piogge torrenziali, ancora tracimano dei reflui dei nostri scarichi. In modo accettabile e non pericoloso? Non lo mettiamo in dubbio, non siamo biologi, ma lo sguardo perplesso per il momento resta.

Nessuno, tuttavia, si perda d’animo. Male che vada i varesini e tutti gli altri laghee del circondario manderanno “avanti” i turisti stranieri: alcuni di loro, in fondo, il bagno lo hanno sempre fatto, incuranti sia dei cartelli ammonenti il divieto di balneazione, sia – parer nostro – di un po’ di buon senso.

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