Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Attualità

VIETATO ENTRARE

FABIO GANDINI - 24/02/2023

intervistaI video, in particolare quelli istantanei che da un cellulare possono viaggiare spediti verso social e siti, a corredare o addirittura sostituire la scrittura, sono uno strumento che ha arricchito il novero delle “armi” a disposizione del giornalista.

Sono una possibilità di racconto in più, talvolta preferibile alle altre non solo perché più veloce, ma anche perché più oggettiva: le immagini non sono interpretabili, non sono controvertibili. E danno quel “qualcosa in più”, aumentando anche il numero dei sensi che compartecipano alla fruizione dell’articolo.

Ma non c’è solo l’utile e il buono: altrettanto incontrovertibilmente, nel loro cogliere istantaneamente la realtà, i video stanno dimostrando sempre di più il declino professionale e umano di una categoria che a volte sembra non conoscere limiti, né senso dell’opportunità, né rispetto. E confonde la notizia, obiettivo professionale, con un’ingiustificabile e pelosa invadenza che non si ferma davanti a nulla, tanto ridicola quanto drammatica nel suo nichilismo valoriale.

Giornalismo spazzatura, si diceva una volta. Oggi è pure peggio, o semplicemente abbiamo solo più occasioni per “apprezzarlo”.

La “prestazione” di alcuni colleghi all’ultima udienza del processo Maja è stata purtroppo propizia in tal senso, nonché ancor meno tollerabile, vista la delicatezza del contesto.

Parliamo di una tappa del gravoso procedimento giudiziario che vede sul banco degli imputati Alessandro Maja, l’architetto di Samarate reo di avere sterminato lo scorso anno la sua famiglia in una notte di sangue e orrore, uccidendo nel sonno la moglie e la figlia e lasciando in fin di vita il figlio maschio, Nicolò. Lo stesso Nicolò, oggi solo parzialmente ristabilito nel fisico da quella quasi fatale violenza, il 17 febbraio ha voluto essere presente in aula, trovandosi per la prima volta davanti al padre assassino.

Un gesto forte, sulle cui motivazioni già si dovrebbe stare attenti a indagare, in quanto appartenenti a un’intimità che più intima non si può, un’intimità che immaginiamo in tragico conflitto tra rabbia, impotenza, tormento, desiderio di comprendere l’incomprensibile e ricordo di quanto di più caro non esiste più. Perché mettere lo zampino a tutti i costi in questa battaglia? Sulla spinta di quale inutile curiosità?

Taluni, tuttavia, hanno saputo addirittura fare peggio. Hanno trasformato il giovane e povero Nicolò nel bersaglio immobile della malacuriosità di cui sopra.

A fine udienza, microfono in una mano, cellulare ben saldo nell’altra, rec acceso, hanno circondato il ragazzo mentre cercava di abbandonare il tribunale su quella sedia a rotelle che a tutti dovrebbe ricordare che pena egli ha subito. Sta subendo. E invece no, alé a riacutizzare il patimento: «Cosa hai provato?». «Hai incrociato il suo sguardo?». «Come hai trovato tuo padre?». «Gli vorresti dire qualcosa?».

Nicolò ha risposto a monosillabi a ognuna di queste e altre sconcertanti questioni, con una gentilezza – forse impotente – che ha allertato uno strazio ancora maggiore, perché in cuor nostro avremmo voluto che la sua replica fosse un solo, unico e definitivo e sonoro «lasciatemi in pace».

Lo scriviamo allora noi: lasciatelo in pace. Lasciate in pace i Nicolò del mondo. La loro afflizione, il dramma che stanno vivendo e i segni presenti in anime angosciate non rappresentano un buon motivo per puntare un telefonino e un microfono addosso. Perché non sono giornalismo, non sono notizia: sono una strada su cui c’è solo scritto a caratteri cubitali “vietato entrare”.

E allora anche i giornalisti, più precisamente: alcuni giornalisti, imparino a leggere.

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login