Non entriamo nelle questioni del lavoro, che saranno proposte dai referendum dell’8-9 giugno. Argomento complesso: per dirne non a vanvera, necessita competenza. Chi scrive non l’ha, formulato l’ovvio auspicio a maggior sicurezza e minor precarietà. Dedichiamoci invece all’argomento cittadinanza, pur se in modo grossier: alla sempliciona. Come sapete, per ottenerla si punta a ridurre da dieci a cinque anni il periodo di residenza in Italia e si pretendono altri requisiti, a cominciare da una fedina penale immacolata.
Non si vede cosa ci sia di male (e quanto, al contrario, ce ne sia di bene) in quest’accorciamento che marcia al passo d’una società disegnata, per scelta o sorte, sul profilo sempre più multietnico. L’integrazione è in corso da anni e, alla maniera di tutti i processi sociali/culturali, chiede riguardo, cura, pazienza. Anche correzioni, se necessario. Una è di rendere meno difficile l’italianizzazione formale di quanti l’han sostanzialmente già ottenuta sul campo, andando a scuola, impiegandosi in lavori molteplici, contribuendo alla vita comunitaria. Non avvertono differenza di trattamento da compagni di banco o da sodali di fabbrica, negozio, bar, ristorante, ufficio eccetera. Salvo qualche rara e stolida eccezione, li si classifica in virtù della loro capacità e non della lingua d’origine o del colore della pelle. Sono degli eguali in un mondo egualitario, dove chi opera distinzioni che non siano di merito rappresenta la minoranza perdente nella partita con la contemporaneità. Oltre che col senso etico.
Va aggiunto che l’associarsi alla storia d’un popolo, alle sue abitudini, al processo evolutivo generale, si completa con la partecipazione degl’immigrati -entrati in età occupazionale- a versare contributi allo Stato. Non un rilievo marginale, quando si pensi che a pagare le tasse, tutte le tasse dovute, è solo il 17 per cento degl’italiani a fronte d’una quota d’evasori eternamente in progress. Dunque benvenuto chi aiuta a finanziare servizi vari, stipendi pubblici, pensioni, eccetera. Dando inoltre una spinta alla natalità, fenomeno in preoccupante decremento, con i danni che ne derivano.
Quindi non ci dovrebbero essere, non ci sono, dubbi sull’opportunità di render lecito oggi ciò che dovrebbe esserlo da tempo, se fossimo in una società capace di guardare indietro (la nostra massiccia emigrazione), di guardarsi attorno (la nostra difficoltà attuale), di guardare lontano (il nostro futuro di cittadini del pianeta). La multietnicità costituisce il valore aggiunto alla tradizione d’un Paese, avversarla non è difesa dei propri confini, ma attacco alla propria intelligenza. La stessa che suggerisce di votare comunque ai referendum, pur permettendo la legge di rifiutarvisi. Ma rifiutarvisi incoraggia lo sciagurato fenomeno dell’astensione, confermatosi alle recenti elezioni amministrative, con relativo indebolimento della democrazia. La peggiore delle fesserie.