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Sport

STORIA DI DUE GENI

ETTORE PAGANI - 20/03/2014

Il calcio più bello del mondo – secondo la storica valutazione del biondo di Viareggio (ad onor del vero non privo di seguaci) – non è certo il migliore d’Europa. Quanto al mondo, fra non molto si vedrà. Nella speranza che gli sforzi (senz’altro encomiabili) di Prandelli, nei pressoché interminabili tentativi per mettere insieme una squadra anche approssimativamente degna di tal nome, abbiano maggior fortuna di quanto visto sinora.

Dall’Europa, comunque, siamo fuori. Ultimo a prendere la porta, senza neanche potersela sbattere alle spalle, è stato il Milan. Quello di Berlusconi padre e figlia. E, prima, di Galliani, Allegri e, ora, di Seedorf.

Il Milan, figlio di tutti o meglio, figlio di nessuno perché quando le cose vanno male, sui parti può anche regnare l’incertezza.

Eppure subito dopo l’ultimo scudetto vinto dai rossoneri non c’era parso proprio di essere profeti scrivendo che la squadra – nell’autentico senso della parola – non esisteva. E che non era rassicurante che il tricolore fosse sgargiante solo sulla maglia di uno e solo uno: quell’Ibrahimovic vero ed isolato conquistatore di quel primato. Neppure ci era sembrato eccessivo dichiarare apertamente che, senza mutamenti di rotta in campo come in panchina, il sole del primato si sarebbe spostato verso Torino sul bianconero della Juve.

Per carità, tutti possono sbagliare ma Galliani – pur nell’ambito della sua sviscerata passione – stavolta ha sbagliato tutto. In particolare nel fare acquisti certamente indicati per il richiamo della tifoseria ma per nulla appropriati a fare il necessario sotto il profilo tecnico. Gli è andata bene con Kakà; orrendamente con Balotelli. Per il resto recuperi di mediocri senza logica di inserimenti e di modalità di gioco. Una buona mano – bisogna ammetterlo – gli è venuta anche da Allegri spesso spaurito, quasi stordito, in panchina a non capirci più niente e con in campo giocatori disamorati e, a loro volta, spenti e senza idee.

Nell’affogamento generale il primato di sub merita, però, senza ombra di dubbio a quel Balotelli che avrebbe dovuto essere l’uomo partita decisivo in ogni circostanza ma da rendimento assolutamente negativo.

Netto il suo peggioramento anche rispetto al periodo di dipendenza da Mancini che, del resto, non aveva mai fatto mistero delle delusioni subite da Mario e che deve aver tirato grossi sospiri di sollievo vedendoselo togliere dai piedi.

Il fatto è che Balotelli appare sensibilmente peggiorato non solo nel già discutibilissimo carattere ma anche sotto il profilo tecnico. E le speranze di recupero man mano si affievoliscono.

Qualcuno potrà dire che anche l’Antonio (Cassano) sembrava la rappresentazione vivente di un caso disperato e che se non si fosse avuta la necessaria pazienza sarebbe stato da considerarsi finito da un pezzo.

Il paragone non ha senso. Ferma restando la validità delle critiche a suo tempo sollevate contro le “cassanate”, va tenuto conto delle caratteristiche tecniche completamente diverse dei due. Cassano è uomo squadra, di regia, cui non mancano, anche talvolta, capacità di realizzazione. Anche quando non arrivano le sue conclusioni Cassano fa manovra, fa giocare gli altri e, finalmente, pare anche aver messo la testa a posto. Situazione, quest’ultima, per la verità, non molto ipotizzabile fino a poco tempo addietro. Peraltro anche quando erano ancora vigenti le pur deprecabili sue crisi mentali, della classe del giocatore nessuno si era mai permesso di dubitare.

Cosa si può dire ora sulla validità tecnica di Balotelli? Di lui si diceva che sarebbe stato in grado di fare “reparto da solo” partendosi dalla ritenuta sua capacità di risolvere gli incontri. Oggi il giudizio di validità “isolata” non solo è caduto ma si è portato dietro l’assoluta incapacità di dare aiuto alla squadra.

Né forza individuale né giovamento all’insieme con l’aggiunta del permanere delle pessime manifestazioni caratteriali.

Cosa si può aspettare in futuro soprattutto quanto a interessi e valutazioni del mercato? In Inghilterra sognava l’Italia. Di qui il rientro, proprio al Milan. Chi riuscirebbe, ora, a prevedergli un’altra destinazione?

 

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