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Storia

QUEL “GIORNO PIÙ LUNGO”

VINCENZO CIARAFFA - 06/06/2014

I cimiteri di guerra americano di Colleville-sur-Mèr e tedesco di La Cambe

Le sorti della II Guerra mondiale si decisero in tre battaglie: El-Alamein, Stalingrado e in quella che seguita allo sbarco in Normandia si snodò dal 6 giugno 1944 fino alla conquista di Parigi il 25 agosto successivo. Il decision day  (il giorno della decisione), o D-Day com’è ormai conosciuto, servì a completare l’accerchiamento da Ovest della Germania nazista le cui armate già arretravano inesorabilmente sotto l’incalzare delle forze russe provenienti da Est e che erano entrate in Polonia, e dalla 7^ Armata americana e dell’8^ britannica  che si trovavano alle porte di Roma da dove avrebbero puntato sulla Germania con una progressione che si sarebbe arrestata soltanto a Berlino l’anno dopo.

Il 6 giugno ricorre, quindi, il 70° anniversario di un evento bellico molto presente nella narrativa e nella cinematografia mondiale come, ad esempio, nel film “Il giorno più lungo” tratto dal libro-reportage di Cornelius Ryan e, più recentemente, nel film “Salvate il soldato Ryan” di Steven Spielberg.

In verità quello sbarco fu davvero decisivo per l’annientamento dell’esercito nazista che, nonostante fosse in ritirata su tutti i fronti, era ancora abbastanza forte da poter sferrare delle poderose zampate agli Alleati come avverrà nelle Ardenne alcuni mesi dopo. E seppur la storia non si faccia con i “se”  o con i “ma”, senza lo sbarco in Normandia i tedeschi avrebbero potuto firmare una pace separata con lo spregiudicato Stalin e concentrare le loro ancora poderose forze sul fronte occidentale. Sì, perché il dittatore russo sapeva che, come aveva sperimentato col patto Molotv-Ribbentrop del 1939, con la Germania hitleriana poteva intendersi meglio di quanto, poi, si sarebbe inteso con gli Alleati, specialmente con Churchill che non si fidava di lui più di quanto si fidasse dell’arrendevole Roosevelt.

Che cosa, in realtà, frullasse nella testa del “piccolo padre” russo, che non lo rivelava neppure ai suoi più stretti collaboratori, lo sa soltanto Iddio, certo è che, fin dal 1939,  egli aveva in mente di fare dell’Europa orientale una sorta di protettorato sovietico e per raggiungere tale scopo avrebbe fatto patti con chiunque, anche con un Hitler boccheggiante che al punto in cui era giunto, a sua volta i patti li avrebbe fatti anche col diavolo.

Ma usciamo dalla congetture e ritorniamo allo sbarco. Almeno inizialmente, quella di Normandia fu un’operazione anfibia eppure, invece di essere affidata agli inglesi che nel campo avevano più esperienza di chiunque, il suo comando  fu assegnato agli americani per controbilanciare il comando del gruppo di armate operanti in Italia che era stato posto alle dipendenze del generale inglese Alexander.  Una mano alla buona riuscita dello sbarco degli Alleati in Normandia la diede anche il feldmaresciallo tedesco Rommel, il comandante del gruppo d’armate più potente del fronte occidentale il quale, nonostante l’accresciuto, anomalo volume di comunicazioni tra Londra e le resistenza francese aveva sentenziato che « …secondo la passata esperienza, questo non significa che l’invasione sia imminente» e se ne era andato a trovare la famiglia in Germania. Peraltro il famosissimo “Vallo Atlantico” contro di cui si sarebbe dovuta infrangere l’invasione Alleata e che andava dall’Olanda alla Bretagna passando per il Belgio e la Normandia, esisteva soltanto sulla carta e nelle fantasie di Hitler.

L’altro punto debole dei tedeschi era la copertura aerea tant’è che le forze di sbarco alleate che all’alba del 6 giugno 1944 si scaraventarono sulle spiagge della Normandia, non ebbero problemi dal cielo perché al loro strapotere aereo la Luftwaffe  poté opporre soltanto un’ottantina di velivoli che su di un fronte così esteso potevano fare davvero poco. Nondimeno gli Alleati pagarono un prezzo altissimo in caduti e feriti nel corso delle battaglie che renderanno tristemente celebri la  spiaggia di Omaha Beach, Colleville-sur-Mèr dove oggi c’è un cimitero americano,  la scogliera della “Pointe du Hoc” e le spiagge di Utah, Gold, Juno e Sword, nomi in codice dei luoghi dove sbarcarono statunitensi, inglesi, canadesi e francesi.

Soffermatici, com’era inevitabile, sull’aspetto militare dello sbarco in Normandia, vorremmo però terminare con quegli aspetti umani che, ancora oggi, sono riconducibili all’avvenimento. Chi in questi giorni si recasse nelle località di Normandia dove avvenne e si sviluppò il D-Day incontrerebbe i sempre più radi soldati di settanta anni fa che parlano volentieri con i visitatori che in essi coglieranno gentilezza, modestia e sincera commozione per gli antichi  compagni caduti in battaglia e per gli stessi nemici che avevano la loro stessa età e, probabilmente, anche i medesimi sogni e speranze di futuro. Nel cimitero tedesco di La Cambe dove riposano ventiduemila caduti, e nel cimitero americano di Colleville-sur-Mèr dove dormono il sonno eterno altri diecimila soldati, il visitatore, nonostante la diversa disposizione e il diverso colore delle croci, coglie il medesimo interrogativo-ammonimento di tutti i cimiteri di guerra: «Perché?».

 

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