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Opinioni

PROVINCE, CHE BOOMERANG

CESARE CHIERICATI - 23/06/2017

Senza fondi strade provinciali a rischio

Senza fondi strade provinciali a rischio

Le province non sono state abolite, sono state semplicemente sostituite con organismi elettivi di secondo livello. Significa che, prima del tentativo di riordino provinciale della legge Del Rio del 2014, erano i cittadini a eleggere il presidente e i consiglieri, oggi invece vengono eletti dai sindaci della provincia stessa e non percepiscono né stipendi né indennità. Un cambiamento importante, già vissuto a Varese, che però non ha abolito le province in quanto tali (per farlo serve una riforma costituzionale) e neppure ne ha cancellato il nome come prevedeva il referendum del 4 dicembre 2016 clamorosamente respinto dagli elettori. Dunque le province esistono ancora ma sono un guscio semi vuoto nel senso che le funzioni sono rimaste più o meno le stesse di prima mentre le risorse finanziarie sono state di anno in anno voracemente prosciugate dalla Stato centrale. Tuttavia in capo alle “province non province” restano competenze vitali per i territori: strade, scuole, ambiente, parchi e altro ancora.

A fine 2011, quando la loro abolizione era diventato il nuovo “mantra” salvifico dei conti pubblici nazionali, la spesa per investimenti ammontava a 2,9 miliardi di euro, secondo una ricerca dell’Università Bocconi. Due anni dopo era scesa a 2,7 per poi precipitare a 1,7 nel 2014, 1,3 nel 2015 e a un solo miliardo lo scorso anno. Nel 2017 alla luce dei recenti esiti referendari sono stati azzerati ulteriori tagli ma il piatto piange – come riferisce una documentata inchiesta della Stampa di Torino – nonostante il brodino “ricostituente” di 170 milioni somministrato con la manovrina finanziaria di aggiustamento per sistemare qua e là parte della rete stradale di competenza. Che è di ben 130 mila chilometri, 5000 dei quali chiusi per frane, smottamenti, buche, dissesti, erbacce invasive e altri guai stando alle affermazioni del sindaco di Vicenza e presidente Upi (Unione delle province italiane) Achille Variati. Moltissime altre, in condizioni precarie, sono gravate da limiti di velocità di 30 e 50 chilometri l’ora e prossime alla chiusura. Un escamotage, tipicamente italiano, per cautelarsi da azioni giudiziarie promosse da utenti che hanno avuto danni alle loro auto provocati dai disastrati sedimi stradali.

Altrettanto drammatica la situazione sul versante scolastico dove le “province non province” devono occuparsi della manutenzione di ben 5.179 edifici frequentati da oltre 2,5 milioni di alunni. Alla luce di queste cifre la transizione riformatrice delle province sembra fare acqua da molte parti e appare non solo un percorso incompiuto ma addirittura un boomerang per i cittadini utenti che continuano a versare elevati tributi in cambio di servizi sul territorio sempre più scadenti se non, talvolta, addirittura inesistenti. Che altro sono le strade chiuse per totale difetto di manutenzioni?

Detto questo resta la necessità di proseguire nella trasformazione istituzionale delle” province non province” riducendone il numero (oggi sono 109, 70 nel primo dopoguerra), ridisegnandone con attenzione e delicatezza i confini, riformulandone le funzioni e quindi la fiscalità. È infatti fuori discussione che esistono province con una dimensione e/o una popolazione trascurabile nate su basi clientelari e gravate da alte spese di gestione. Le ragioni di una riforma sostanziale sono fuori discussione, non il metodo. Come accade quasi sempre in Italia non è stata individuata una transizione equilibrata e indolore per i contribuenti. A oggi non si conosce con esattezza quale sia la rotta di navigazione della tanto sbandierata riforma. Nessun “ritorno di fiamma” per il passato come paventava su queste colonne l’amico Giuseppe Adamoli nel gennaio scorso, ma un po’ più di sano pragmatismo a beneficio degli utenti sì.

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