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Cultura

CARDUCCI AL BUIO

SERGIO REDAELLI - 06/09/2018

 

Temporaneamente chiusa al pubblico per lavori di manutenzione. È il cartello che accoglie il visitatore nella casa natale di Giosuè Carducci a Valdicastello, in Versilia, pochi chilometri dietro la pineta di Forte dei Marmi e le spiagge di Marina di Pietrasanta. Riaperta appena da un anno dopo lunghi restauri. Peccato. È la solita Italia distratta che respinge il turista, vien da pensare, chiese, musei e palazzi signorili che siano. La gente in piazza e al bar è però prodiga di informazioni, scopriamo che si può entrare in giardino e la custode, una bella signora dai capelli candidi, ci consegna un prezioso depliant. In attesa di tempi migliori, è bene accontentarsi della vista esterna. Comunque emozionante.

“Stiamo provvedendo a sistemare l’impianto elettrico che ha avuto un piccolo guasto per riconsegnare quanto prima la casa di Carducci ai residenti e ai turisti. Lo scorso anno, fresca di restauro e di inserimento nel circuito nazionale delle Case della Memoria, la location ha registrato il 25% in più di accessi. Casa Carducci è uno dei pezzi del polo museale che costituirà la porta di ingresso al parco archeo-geo-minerario di Valdicastello collegato al santuario di S. Anna di Stazzema”, assicura Alberto Giovannetti sindaco di Pietrasanta, di cui Valdicastello è una boscosa frazione. Occorrono ventimila euro per fare luce e si sa che i bilanci comunali sono risicati, quando si tratta di sostenere la cultura.

Il grande poeta toscano (1835-1907), senatore e premio Nobel per la letteratura nel 1906, aveva un legame amoroso nel Varesotto, precisamente a Gavirate. Frequentava Annie Vivanti (1866-1942), giovane poetessa-cantante e autrice di romanze che il maturo seduttore aveva aiutato ad emergere e che lei amava. Lo chiamava affettuosamente Orco: “Carducci, colla sua irta barba grigia e il cipiglio veramente da Orco sotto al cappello da Buffalo Bill… è per me l’amico adorato, l’ideale della mia sognante fanciullezza, il secondo padre della mia orfana gioventù. E la sua mano mi sorresse ed innalzò nella turbolenta primavera di mia vita”. Nata a Londra, lei visse per un periodo presso il fratello Italo, medico condotto a Gavirate, in un appartamento vicino al municipio.

E in riva al lago di Varese il poeta andava a trovarla concedendosi qualche esibizione pubblica. La sera del 6 ottobre 1890 lesse in una sala del Grand Hotel Excelsior, affollata all’inverosimile, l’ode patriottica Piemonte che aveva da poco data alle stampe. Era giunto in città con il treno in mattinata, reduce da una breve villeggiatura dai Vivanti a Gavirate, dove amava frequentare il Caffè Veniani e gustare i brutti e buoni con la cioccolata. Dopo la pubblica lettura e la cena all’Excelsior (oggi villa Recalcati) proseguì la serata al teatro Sociale dove si rappresentava la Mignon e il giorno dopo visitò il Sacro Monte.

Come si è detto era nato a Valdicastello, in provincia di Lucca.
Racconta egli stesso: “Nel breve tempo in cui mio padre fu medico chirurgo di una società francese che aveva preso sopra di sé i lavori delle miniere di piombo argentifero a Valdicastello, in Versilia, io nacqui in questo borghetto poco lontano da Pietrasanta addì 27 di luglio 1835, l’anno che il colera invase l’Italia, giorno di martedì alle ore 11 della sera”. Era figlio del dottor Michele Carducci, convinto antiaustriaco, coinvolto nei moti carbonari del 1831 e di Ildegonda Celli, fiorentina.

“Il giorno dopo fui battezzato nella chiesa di Valdicastello col nome di Giosuè Alessandro Giuseppe: Giuseppe nome dell’avo paterno, Alessandro padre di mia madre, Giosuè di un amico di mio padre da questo riveduto a punto allora ch’i’ era per nascere io”, cosi racconta nei Ricordi di Versilia. Ma gli anni della serena adolescenza durarono poco. Nella notte tra il 21 e il 22 maggio 1848 ignoti presero a fucilate la finestra di casa Carducci a Bolgheri, dove la famiglia si era nel frattempo trasferita, per l’acuirsi del conflitto tra il padre Michele e la parte più conservatrice del paese. La famiglia fu costretta a fare di nuovo i bagagli per Castagneto. Zona di grandi vini di cui Carducci sarebbe stato, in età matura, un assiduo bevitore.

Proprio l’amore per il vino, il piacere del convivio e il fascino degli scenari agresti riscattano la malinconia che pervade il suo animo nella bellissima poesia San Martino (Rime Nuove, 1883): “La nebbia a gl’irti colli
piovigginando sale
e sotto il maestrale urla e biancheggia il mar;
ma per le vie del borgo
dal ribollir de’ tini va l’aspro odor de i vini
l’anime a rallegrar.
Gira su’ ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
sull’uscio a rimirar

tra le rossastre nubi
stormi d’uccelli neri,
com’esuli pensieri,
nel vespero migrar”.

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