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Souvenir

CHIUSO A CHIAVE

ANNALISA MOTTA - 14/09/2018

chiaviCertamente li avrete visti anche voi, negli anni passati: montagne di lucchetti, rigorosamente chiusi, avvinghiati al ferro e al marmo di ponti storici, a Roma, Firenze, Parigi, La Spezia e chissà in quante altre città, simboli dell’ eternità (promessa) di un amore. Paccottiglia inelegante, così poco romantica quanto – allora – di moda.

E io mi chiedevo: ma che fine avranno fatto le chiavi? Quelle leggere, minuscole, di forme inusitate, di metallo, di ottone, di acciaio che restano sul fondo dei cassetti e quando le trovi non hai la minima idea di che cosa possano chiudere o difendere.

Tra le tante, ne ricordo una che la nonna teneva – chissà perché – nel cestino da lavoro: piatta e tonda, con una bella impugnatura a cerchio e un gambo lineare e sottile, senza dentini. Un gioiellino stile liberty. Diceva che era un ricordo del vecchio appartamento di piazza Montegrappa, lasciato a forza durante la guerra perché requisito. Era la chiave dell’ascensore. Eh sì, perché un tempo anche sull’ascensore si doveva risparmiare: gli inquilini avevano diritto a salire elettricamente, gli altri – garzoni, postini, domestiche, intrusi – si trovavano la portina del lift, a piano terra, chiusa a chiave; o con un contatore dove infilare la monetina. La discesa, invece, era libera.

Ma in realtà tutto il chiudibile aveva un tempo la propria chiave: oltre ai cancelli e alle porte – ovvio – anche i cassetti del comò, lo sportello dei comodini, gli armadi a un’anta, la ribaltina dello scrittoio, i cristalli della credenza, il baule del corredo, il beauty case in pelle, la cartella da ufficio, le buste porta documenti, la borsetta di coccodrillo, il diario segreto, il porta gioielli e perfino la cassetta degli attrezzi; e non parliamo delle chiavette per caricare i carillon, i giocattoli a molla, gli orologi a pendolo.

A un certo punto comparvero lucchetti e chiavi addirittura sul disco del telefono, per scoraggiare figli adolescenti e parenti scrocconi.

Non ricordo se questa miriade di chiavi e chiavine si usasse davvero: alcune, certo, venivano custodite con cura nel borsellino; altre restavano infilate nella serratura a mo’ di pomello per le ante e i cassetti che ne erano privi; la più parte si dimenticava in giro e andava persa.

E più passavano gli anni, meno chiavi si usavano. Gli sportelli divennero lisci, con chiusura a incastro, a calamita, a molla. I cassetti si munirono di maniglia. Le borsette di zip. Le credenze scomparvero.

Pensiero: il boom economico suggeriva forse che non valesse più la pena tenere sotto chiave le poche cose di famiglia, che tutto comunque si potesse sostituire o ricomprare, che chiavi e serrature appartenessero a un passato povero da dimenticare?

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