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Società

INDIVIDUALISMO

EDOARDO ZIN - 12/10/2018

individualismoL’estate mi ha sfiancato e mi ha reso febbroso. Accolgo volentieri l’invito di un amico monaco a passare alcuni giorni presso il suo monastero per assaporare il silenzio e la solitudine propizi ad una densa concentrazione. Arrivo in questo rifugio per lo spirito in pieno giorno. La pioggia della notte ha lavato i residui dell’estate: ogni filo d’erba ha la sua goccia, gli alberi cominciano a tingersi di toni gialli, bruni o porpora e fra poco saranno spogli. L’acero montano ha preso la luce dell’ambra. Dal bosco che circonda l’eremo sale un amaro profondo.

Al vespero incomincia a evaporare la nebbia che fa sfumare i contorni degli alberi visti dalla finestra della mia cella. La nebbia placa i tumulti del cuore e mi fa rientrare in me stesso.

In refettorio, durante il pasto, un monaco ha letto l’editoriale di stamani de “Il Corriere della sera” ed ora sono qui a rimuginare tra di me. “È possibile ancora sperare in una politica buona che faccia indietreggiare le forze identitarie che avanzano in Italia? Che cosa c’è dietro a questa ossessione di cercare un nemico pur di imporre il proprio pensiero? Che cosa indebolisce la nostra democrazia? È forse la disuguaglianza sociale che deriva dalla concentrazione in poche mani della maggior parte della ricchezza? O è piuttosto il desiderio di felicità ad ogni costo staccata dalla responsabilità? O sono forse le parole dei nostri reggitori che scalfiscono il cuore della povera gente e lo plasmano fino a renderlo rozzo? E da dove deriva questo clima di menzogne, di odio, d’insoddisfazione? Ed io che cosa compio per rendere la nostra vita più a misura d’uomo? Fino a che punto sono disposto a battermi per difendere e rivendicare la verità? Amo il dialogo. Ma oggi sembra impossibile tra avversari perché è divenuto un intrecciarsi di parole vuote e nessuno, neanch’io, è capace di mettersi in discussione per portare non le proprie ragioni, ma un briciolo di verità.

Ormai il tramonto prepara la notte. La luce si rintana fra i rami degli alberi. La campana suona per ricordare che inizia il “grande silenzio” e nel nido della notte continuo a riflettere, mentre il sonno viene ad appagarmi il riposo delle membra e le palpebre si chiudono a poco a poco.

L’indomani mi risveglio gradualmente. Mi accorgo che un frammento d’estate si è intrufolato tra i rami, il sole affoga dolcemente nella nebbia e, più tardi, tutto illumina senza accecare e bacia senza ardere i vetri della finestra.

Riprendo i miei pensieri. Ma, grazie al riposo, la mente si risveglia, la coscienza mi rende aperto e consapevole e non sono più muto alle domande che mi ponevo ieri sera.

Grazie anche alla voce del monaco che mi viene incontro, sento il bisogno di allentare la passione, ritraendomi dalle fosche tinte dell’angoscia, e di riflettere. Penso che oggi abbiamo un po’ tutti perso la forza essenziale dell’uomo: la relazione con l’altro. L’individuo non coinvolge più l’interesse per l’altro. Non ci sono valori e ideali in grado di suscitare emozioni, simpatie, entusiasmo. Non ci si interessa più dell’uomo reale, ma dei dogmi economici che portano al predominio assoluto della finanza e all’approdo della morte del vicino. Il danaro e il profitto hanno sostituito il bene comune e la convivenza. L’individualismo ha corroso perfino l’amicizia. La tecnica ha preso il posto delle relazioni umane e ha generato sempre più aridità e solitudine. A questo individualismo dovremmo sostituire lo “splendore dell’essenziale”, cioè quello di cui abbiamo bisogno per vivere: l’altro, l’altra.

E dall’individualismo nasce il narcisismo, l’egoismo, i processi di omologazione che tendono a cancellare la singolarità della persona per esaltare l’individuo che promuove solo il proprio interesse o quello del proprio clan. Il meglio possibile assicurato a tutti diviene una chiara rinuncia all’idea che migliorarsi significhi inoltrarsi in un cammino diverso per ciascuno e che richiede sforzi, perseveranza, sacrifici, rinunce.

Anche la politica, che è al servizio della “polis”, ha messo al centro l’individuo insofferente ai vincoli delle regole. Sembra che il politico capace sia quello che si vanta di violarle in nome della rappresentanza che ha ricevuto dal popolo come se tra lui e il popolo non ci fossero dei valori e delle norme di una Costituzione da rispettare. Molti politici hanno grandi qualità, ma non conoscono i loro limiti perché sembrano avvolti da una specie di delirio di onnipotenza, mentre la cura degli altri abbisogna soprattutto di ascolto, di conoscenza, di collaborazione, di uscire dal proprio mondo per vedere quello che li attornia. La politica continua ad essere autoreferenziale, guarda agli altri in modo strumentale come avversari in una gara o, peggio ancora, per additarli come nemici che le servono farà ricomparire le barriere e il filo spinato: da ragazzo ho visto il nemico da combattere nei comunisti, più tardi nei “terùn”, poi in “Roma ladrona”, successivamente nell’euro, poi nella “casta” da rottamare e oggi nei “negher”: quando l’odio finirà ed inizierà l’etica del rispetto verso tutti, soprattutto per i diversi?

La solitudine della politica ormai si ritrova in tutte le democrazie occidentali avanzate e rimanda ad una comune realtà sociale. La fiducia nelle istituzioni – e nei suoi corpi intermedi – è in caduta libera, si nota un po’ dappertutto “il declino progressivo nell’attrazione verso la democrazia” (Larry Diamond). Quando la politica deve gestire l’economia (dopo anni in cui quest’ultima ha avuto il primato sulla politica!) evade dal bisogno di aprire un dibattito per mettere a confronto idee, competenza ed esperienze diverse. No, rimuove immediatamente tutti gli ostacoli, anche quelli dettati dalle semplici regole contabili, pur di raggiungere i suoi obiettivi: i fatti diventano più importanti della vacuità delle parole e l’efficacia del “presto e tutto” si contrappone alla ponderatezza.

Allora le parole diventano violente e creano violenza nella società, diventano dure ed induriscono i cuori, diventano sarcasmo e creano disprezzo per gli altri, diventano velenose e creano animi avvelenati. Le parole sono spesso accompagnate dalla mimica facciale dell’uomo forte, dalla mascella volitiva, virile, capace di risolvere un problema con una battuta in dialetto autoctono. Ciò capita perché chi le pronuncia non conosce se stesso e i suoi limiti. Infatti, i veri uomini politici, che sono passati alla storia come statisti, sono coloro che non si sono ammirati narcisisticamente allo specchio, ma quelli che si sono specchiati nelle pupille dei loro cittadini che nel contempo sono usciti da loro stessi e sono andati incontro a coloro che promettevano sacrifici, lacrime e sangue e si sono a loro uniti non nel pretendere privilegi, ma per offrire collaborazione e aiuto.

Mentre scrivo queste note, dalla sobria chiesa mi giungono gli echi della “Salve, Regina” che i monaci cantano accompagnati dal suono della cetra al chiudersi della giornata: “O clemens, o pia, o dulcis Virgo Maria”: sì, sia la bellezza e non la grossolanità, l’amore e non l’odio, la pacificazione e non l’arroganza a guidare gli uomini a costruire una convivenza più umana.

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