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Società

SPERANZA

EDOARDO ZIN - 01/03/2019

speranzaFatico a mettere assieme esperienze diverse vissute in questi giorni e a trovare un motivo conduttore che le leghi, a riordinarle secondo una logica che dia loro un significato.

Dapprima un incontro dell‘Arcivescovo Delpini con i cristiani impegnati nell’ambito socio-politico, successivamente un dialogo sull’Europa con gli studenti di una quinta liceo, poi una riunione con i federalisti di Varese e ancora una “pizza” coi diciottenni di Luino.

Eppure il filo rosso che lega questi avvenimenti l’ho trovato: a parcellizzare questo mondo, a caratterizzare le contrapposte tendenze ci sono le emozioni, che portano all’autoreferenzialità, all’individualismo, alla paura, alla discordia: la storia oggi più che chiarire l’intelletto, sembra attirare la polemica. Con la caduta delle ideologie (ma sarà proprio vero?), è scomparso anche il valore della storia. Riappropriarsi della conoscenza della storia, viceversa, vuol dire ottenere una maggiore conoscenza del momento, abbandonare la passionalità e la partigianeria delle emozioni per ritrovare lo spazio per il confronto, per passare dalle idee frammentate ai progetti comuni.

All’incontro con l’Arcivescovo hanno primeggiato i “nostalgici”: coloro che sognano ancora i bei tempi i cui i cattolici erano tutti intruppati, quelli che si lamentano perché si sono cancellate le radici cristiane dell’Europa, che vorrebbero un intervento più deciso della Chiesa (leggi: vescovi e preti!). Il vescovo Mario, con la mitezza e la sapienza del cuore, li ha invitati a comprendere il mondo che melodiosamente rotola nella mano di Dio, a non essere pessimisti, a non avere una visione esclusivamente negativa dei nostri tempi, a non arrabbiarsi e ad essere scontenti perché ciò non è produttivo: vale la pena magari di soffrire piuttosto che alzare barricate e dighe perché la sofferenza è sempre fonte di vita. Questa stagione si è spenta ed ora è tempo di passare dalle urla al pensiero, dallo scontro all’incontro, dal disinteresse alla partecipazione, con lo sguardo sempre rivolto all’aurora del nuovo giorno.

C’era pure il politico navigato che ha chiesto una Chiesa meno ideologizzata, forse disconoscendo che i pericoli più grandi per la fede non vengono dalla secolarizzazione e dall’ateismo, ma dai cristiani che non mettono in pratica l’annuncio nudo, schietto e radicale della Parola per incarnarla nella vita e su di essa costruire la storia che rende testimonianza alla Verità e all’Amore.

Non sono mancati coloro che hanno denunciato la mancanza di “maestri” come Sturzo, Lazzati, don Giussani. Concordo, ma non posso scordare che nella bisaccia dei pellegrini che camminano nella storia c’è ancora posto per il Vangelo e soprattutto per otto parole: quelle delle Beatitudini, oltre all’annuncio gioioso e tonico di Papa Francesco. Che vogliamo di più?

Ai sindaci – veri eroi del nostro tempo, ignorati dai loro concittadini che compiono il loro impegno spesso in profonda solitudine – l’Arcivescovo ha affidato il compito di essere “costruttori di comunità” e non solo amministratori di beni pubblici. Ha raccomandato loro di riunire le loro comunità non attorno ai dibattiti ciarlieri, ma attorno ai problemi da risolvere.

Si è parlato anche d’Europa e a tal proposito il vescovo Mario ha assegnato ai presenti una “penitenza di Carnevale”: predisporre – in collaborazione con parrocchie e associazioni – degli incontri per “pensare sull’Europa”.

L’incontro con i federalisti europei mi ha rivelato la loro passione per la storia come modo per comprendere l’oggi, per dare ai fatti contemporanei un significato, un messaggio, un disegno di itinerari. La conversazione, che ho avuto con loro sulla storia dell’integrazione europea, non è stata qualcosa di morto ai loro interessi, una pagina di brani aperti sui banchi di scuola recitati a memoria e di cui non si capisce il senso. Sono trascorse in fretta quelle due ore: dal mito di Europa, ai valori spirituali e culturali su cui si fonda l’Europa, all’illuminismo, alla nascita degli stati – nazione, alle rovine di due guerre mondiali causate dalla mostruosità del mito nazionalista per finire nella speranza di un’Europa unita.

Erano desiderosi di conoscere quegli amici, ponevano domande, non erano scettici né ironici. Condannavano l’Europa appesantita da troppi travagli, esprimevano un bisogno di revisione, di rinnovamento, di scoperta di valori nuovi o una riscoperta di valori dimenticati. Più che esauriti, ansiosi, li ho trovati interessati. Per loro l’Europa più che un sogno è una realtà.

E che dire della cena con i maturandi di Luino? Mi hanno chiesto di conoscere alcuni momenti della mia esperienza di vita: i miei studi giovanili, la ricerca faticosa di una vocazione professionale, l’esperienza tra i figli dei nostri emigrati all’estero, quella tra i ragazzi provenienti tra tutta Europa, il mio interesse per l’educazione allo spirito europeo. E forse hanno riflettuto con più attenzione alla storia di oggi e sulla loro vita futura per coglierne non solo l’aspetto lavorativo, ma per pensarla con spirito critico e poterne cogliere tutto ciò che apporta bene, che germina sviluppo. In questa maturazione non ci sarà – lo spero! – spazio per la partigianeria, per i localismi che dovrebbero apparire antistorici. Le promesse degli uomini non li convincono, le illusioni sono troppo inflazionate. I giovani d’oggi vogliono essere maggiormente compresi, interessati e ascoltati. Non amano il verbalismo carezzevole né i vani sentimentalismi, sono schietti, talvolta potranno sembrare impertinenti. E sono esigenti: con i genitori, ai quali chiedono il coraggio di saper dire di “no” a certe loro richieste; con gli insegnanti ai quali chiedono di essere autorevoli e non arrendevoli; con gli educatori, i dirigenti sportivi, i preti ai quali chiedono di essere esigenti con loro perché il domani non sia tragico come il passato che abbiamo vissuto noi anziani.

Incominciamo un po’ tutti ad essere stanchi dell’arroganza ideologica. Perché la parola “speranza” ritorni sui nostri sentieri dovremmo meditare di più sulla storia.

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