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Attualità

UNESCO & MARKETING

SERGIO REDAELLI - 12/07/2019

proseccoLe colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene sono patrimonio mondiale dell’umanità. Lo ha deciso il World Heritage Commettee dell’Unesco riunito a Baku, in Azerbaijan, con i rappresentanti di 21 Stati. Brindano gli operatori del turismo veneto, esultano i vignaioli e i politici che si sono spesi per centrare l’obiettivo. Ma la decisione fa discutere. Il riconoscimento è davvero meritato? O ci sono delle riserve? Con le colline del Prosecco salgono a 55 i siti italiani sotto tutela (4 sono a Varese) e il ministro degli esteri Enzo Moavero Milanesi gongola via tweet: “Diciamo grazie a una bellezza paesaggistica, culturale e agricola unica e al gran lavoro di squadra espresso dal sistema Paese”.

Gli fanno eco su Facebook gli evviva di Salvini e Di Maio, una volta tanto concordi tra loro. E i numeri giustificano l’entusiasmo. Il prosecco, 140 anni di storia alle spalle, è il vino italiano più esportato nel mondo, 464 milioni di bottiglie doc vendute lo scorso anno, una superficie di produzione di oltre 24 mila ettari di vigneti compresi fra il Veneto e il Friuli Venezia Giulia, da Conegliano e Valdobbiadene al paese di Prosecco in provincia di Trieste. Un successo che non accenna ad arrestarsi. Nella prima metà del 2019, le vendite registrano un aumento record del 21% sull’anno precedente.

Allora dove sta il problema? Per sentire l’altra campana basta chiedere a Legambiente che ha contestato la candidatura insieme ad alcune associazioni e comitati cittadini tra cui Wwf, Pesticides Action Network, Marcia stop pesticidi, Colli Puri: “Non c’è nulla da festeggiare – afferma il coordinatore Nicola Tonin – in quelle vigne si usano i pesticidi in modo massiccio e le colline sono state completamente trasformate. Non ci sono più i filari di alberi, le siepi sono sparite, ovunque si vedono solo vigneti e cantine. L’Unesco premia il marketing e in questo modo perde credibilità”. Secondo gli ambientalisti insomma le ragioni del business avrebbero prevalso sulla tutela del territorio, che è poi la vera finalità dell’Unesco.

Si diceva che Varese ha quattro siti Unesco (il seicentesco Sacro Monte, l’insediamento palafitticolo sull’Isolino Virginia, le tracce longobarde di Castelseprio, i fossili del Monte S. Giorgio). Tra i siti italiani, spiccano luoghi d’arte e di storia come il Cenacolo di Leonardo a Milano, le residenze sabaude piemontesi, le città di Assisi e Urbino, i centri storici di Roma, Firenze, Napoli, Siena, la piazza dei Miracoli a Pisa, le Cinque Terre, le necropoli di Siracusa ecc. Oppure ambienti naturali come il delta ferrarese del Po, i giardini medicei in Toscana, la laguna di Venezia, i sassi di Matera, i trulli di Alberobello, le necropoli etrusche di Cerveteri e Tarquinia, le isole Eolie, l’arte rupestre in Valcamonica.

I vigneti del Prosecco con i tipici ciglioni erbosi e i terrazzamenti ricamati dall’uomo non sono l’unica area vitivinicola a fregiarsi del marchio Unesco. Dal 2014 sono tutelati in Piemonte gli incantevoli paesaggi delle Langhe e del Roero, patria del Barolo, del Barbaresco, dell’Arneis e di altri celebri vini, luoghi di castelli e di memorie storiche risorgimentali. Anche le vigne eroiche liguri e valtellinesi, con le loro vertiginose pendenze, gli ondulati poggi del Brunello di Montalcino o i “bagli” del Marsala in Sicilia, tanto per fare qualche esempio, hanno le carte in regola per ambire ad ottenerlo. Ne ricaverebbero una giusta spinta pubblicitaria e commerciale. Per ora ne beneficiano le colline del Prosecco che l’uomo, pagando un prezzo all’ambiente, ha saputo valorizzare e monetizzare.

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