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Società

RIPRENDIAMOCELA

EDOARDO ZIN - 08/11/2019

riprendere“Dov’è la Vita che abbiamo perduto vivendo? Dov’è la saggezza che abbia perduto sapendo? Dov’è la conoscenza che abbiamo perduto nell’informazione?”. T.S. Eliot raggiunge con questi versi l’interiorità umana dalla quale dipendono gli orientamenti essenziali di vita. Mi sono posto le stesse domande visitando i cimiteri nei giorni scorsi, guardando il mondo che mi porta in casa la televisione, leggendo i giornali o vivendo esperienze quotidiane.

Ormai anch’io mi devo preparare a passare all’altra riva e mi trovo a rendere conto, prima che a Dio, a me stesso, del bene non compiuto, dell’ardore giovanile che nasceva più dalle emozioni che dallo studio, delle fragilità che hanno portato spesso alla malinconia. Mi trovo a ricordare i sogni, la ricerca affannosa di un Dio che mi fosse accanto non per punirmi, ma per accarezzarmi, l’affanno per trovare la mia strada, la forza per non soccombere di fronte al dolore. E ricordo quando invocavo l’aiuto di qualcuno che sapesse accogliermi e mi guidasse: mia madre che con un abbraccio sapeva annientare le mie tristezze, un giovane prete che destò in me la meraviglia di condurmi a trovare ciò che cercavo, un mio professore di filosofia che innescò in me il desiderio di verità, il gruppo degli amici che accesero in me la passione per la montagna, per la natura, per la bellezza. Devo essere grato a queste persone che hanno suscitato in me l’amore per la vita e per dare ad essa un senso, un significato che ha forgiato tanti desideri e acceso in me la passione per l’insegnamento, l’amore per mia moglie, i figli e i nipoti che ora con la loro presenza ammorbidiscono questi giorni.

Se mi guardo attorno, se incrocio i miei pensieri con quelli dei giovani e degli uomini d’oggi, noto che questa passione per la vita è scomparsa. È stata sostituita o dal piacere o dall’indifferenza. Il frivolo divertimento porta alla distrazione con la quale i giovani curano il vuoto di senso. Si sentono illimitati e provano l’ebbrezza del sabato sera che spesso li porta a pagare ad alto prezzola vita.

L’indifferenza, poi, porta un po’ tutti alla mancanza di solidarietà e alla perdita dell’orgoglio delle nostre radici: i giovani non sono più capaci di fare squadra per costruire qualcosa di buono, ma solo per aderire ad una setta o, peggio ancora, per entrare in un branco. Abbandonano i legami parentali, non si riconoscono più nella storia che li lega a chi è venuto prima di loro. Non è il mio pessimismo, ma sdegno, indignazione, persino dolore. Mi offende il silenzio che ha avvolto i giovani di un autobus che hanno assistito imperterriti alle oscene parole lanciate da un loro coetaneo contro un altro, la cui colpa era quella di avere il colore della pelle diversa dalla loro. Sì, perché il silenzio offende più del razzismo. Sono angustiato dai mediocri politici che, non essendo capaci di governare, passano il loro tempo a spargere odio che genera paura. Temo per le sorti per il mio Paese che ha perso il dono incommensurabile dello stare assieme e l’ha sostituito col linciaggio sui social, col giustizialismo sommario fatto di manette e di muri, che manca di forti relazioni, che si è imbarbarito. Deploro coloro che si autoassolvano credendo che il male venga da fuori e si esimono dell’atto di dolore. Sì, sono indignato per tutti quei parlamentari che occupano uno scranno grazie a coloro che hanno versato il sangue durante una mostruosa guerra per permettere a loro di discutere liberamente e che, di converso, non hanno reso omaggio ad una donna che porta inciso nel braccio il numero di matricola assegnatole a Auschwitz: un paese che non si trova unito nel dare una risposta – netta come a una sciabolata – al razzismo è un paese condannato a ritrovarsi, un giorno, alla mercé della carità altrui. Diffido di un’Europa tutta rannicchiata su se stessa, intenta solo a far quadrare i bilanci e che ignora la politica basata su valori forti, capace di combattere il linguaggio della paura, diffondere speranza agli ultimi e riscoprire la comunità.

Brecht ha lasciato scritto: ”Non si dica mai che i tempi sono bui perché abbiamo taciuto”.Serve coraggio. Non quello del vilipendio, ma quello della verità e dell’unità. Verità che si conquista con la cultura, dove si trova il realismo del passato e del futuro, non l’effimero del presente, che abbisogna di passione e di pazienza. Verità che è fatta di incontri, di dialogo, di partecipazione. Dialogo che non è un vuoto intrecciarsi di parole attorno ad un argomento e nemmeno un buonismo che tendiamo ad adottare. Dialogo che ci mette sempre in discussione ed è sempre arricchente. Dialogo che è tale se conduce all’unità, pur nella diversità, perché è rispetto per le altrui opinioni e desiderio di trovare il bene che c’è nell’altro.

Forse siamo stati noi adulti a non trasmettere ai giovani il culto per la vita che è anche dolore e sacrificio, per i ricordi che sono alimento per lo spirito, per il culto della storia lastricata di abbandoni, di tradimenti, di ferite, di rancori, per la cura degli altri, che è fonte di compassione, di pietà.

Abbiamo dato ai nostri figli tanti oggetti culturali da consumare (libri, dvd, cd, dischi…) illudendoci che avrebbero acquisito più cultura, invece la cultura è far fiorire nell’intelligenza e nel cuore l’amore per la vita che può far sognare o piangere. C’è oggi una corsa verso la conoscenza tecnologica, ma anche questa rischia di precipitare nello scientismo perché se si elimina la passione che proviene dal cuore, anche le nuove scoperte vanno contro la vita. Oggi tutto si calcola, tutto è votato all’utile, al cieco pragmatismo e si corre il rischio di creare una disarmonia tra ragione e cuore con prevalenza ora dell’una ora dell’altro.

La scuola è diventata divertente perché ci si incontra, ma il divertimento non porta alla riflessione. Dovrebbe diventare interessante, capace di destare stupore, di formare i giovani alla contemplazione e al silenzio. Trasformare la scuola in divertimento significa svilire le due più importanti capacità che gli uomini possano fare: insegnare e imparare. È la saggezza che forma l’uomo e lo rende veramente tale. Per essere sapienti non occorre una laurea, bastano l’onestà e il buon senso, virtù che la sfrenatezza delle folle plaudenti oggi non sanno cogliere.

Riprendersi la vita e buttarsi nello studio o nel lavoro perché esso ci prenda, ci assorba, ci riempia dal mattino alla sera fino a prenderci il cuore: ecco che cosa ci attende oggi. Perdere il buon senso e la voglia di conoscere è una follia. Noi ci siamo vicini. Ce lo insegna la storia!

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